Corriere della Sera, 9 settembre 2021
Il punto sui monoclonali
A un anno e mezzo dall’inizio della pandemia in Italia abbiamo dei farmaci per curare l’infezione? Per rispondere occorre mettere in fila alcuni dati. Rispetto a un virus completamente nuovo in grado di provocare un’infiammazione potenzialmente letale e multiorgano, si sono tentate tutte le strade possibili. Partendo da antivirali già esistenti, come il Remdesivir o alcuni farmaci anti-Hiv. Molte ipotesi però si sono rivelate vicoli ciechi. Molecole che sembravano promettenti, una volta testate sull’uomo hanno deluso o dato risultati molto parziali.
Cosa non funziona
Dopo un impegno senza precedenti da parte della comunità scientifica mondiale, oggi possiamo mettere dei punti fermi, grazie a studi su ampie fasce di popolazione revisionati e pubblicati. Primo: alcuni farmaci non servono contro Covid. Rientrano in questa categoria i suddetti anti-Hiv, l’idrossiclorochina, la colchicina e l’ivermectina, un antiparassitario diventato famoso negli Stati Uniti per i casi di intossicazione di pazienti che hanno optato per il «fai da te». Alcuni medicinali già noti si sono rivelati invece estremamente utili nel controllo della malattia: antinfiammatori, cortisone, eparine (per evitare il rischio di tromboembolia). Ma vanno assunti sotto controllo medico.
I primi monoclonali
A un anno dalle prime notizie relative a Sars-CoV-2 in Cina (la data ufficiale è il 31 dicembre 2019) sono arrivati i primi vaccini. Poco dopo è la volta degli anticorpi monoclonali, farmaci diretti specificamente contro il virus. Il 6 febbraio l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha concesso un’autorizzazione temporanea per quelli prodotti da Eli Lilly e Regeneron. Pochi mesi prima, a ottobre 2020, l’allora presidente americano Donald Trump era stato curato in via sperimentale con il mix di anticorpi monoclonali casirivimab-imdevimab (prodotti appunto da Regeneron), ancor prima che la Food and drug administration lo autorizzasse in via emergenziale.
A casa o in ospedale
E arriviamo ad oggi. Esistono due linee terapeutiche per Covid: il protocollo domiciliare, per i pazienti che non necessitano di ricovero, e le opzioni utilizzabili in ospedale, a partire dall’ossigeno-terapia, fondamentale quando l’infezione provoca un grave malfunzionamento polmonare. A questo scenario vanno aggiunte le tante sperimentazioni che l’Agenzia del farmaco ha approvato per verificare l’efficacia nel Covid di farmaci già in uso (come per esempio tocilizumab, un anticorpo monoclonale che blocca la produzione di interleuchina-6, ma anche idrossiclorochina, colchicina, azitromicina, ivermectina) e della plasmaterapia, basata sul prelievo di anticorpi da pazienti convalescenti, che si è però rivelata poco efficace. Oggi le sperimentazioni in corso in Italia sono 71, ma molte sono state rallentate dalla discesa dei contagi e soprattutto dall’arrivo dei vaccini, che di fatto ha ridotto drasticamente i pazienti candidati ai trial. Oggi i ricoverati con sintomi sono poco più di 4 mila, quelli in terapia intensiva 564 e quasi 127 mila i casi lievi curati a domicilio. Tutto questo alla luce della campagna vaccinale, giunta a coprire, nel nostro Paese, il 72 per cento della popolazione over 12.
Il nodo dei costi
Gli anticorpi monoclonali hanno rappresentato una svolta nella cura del Covid. Seppure non ancora autorizzati dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema), a marzo hanno ricevuto il via libera dall’Aifa bamlanivimab (l’uso è stato poi sospeso a maggio), il mix bamlanivimab e etesevimab (Eli-Lilly), casirivimab e imdevimab (Regeneron/Roche) e, a inizio agosto, sotrovimab di GlaxoSmithKline. Gli anticorpi monoclonali hanno un’indicazione terapeutica precisa: vanno somministrati nelle prime fasi della malattia, per via endovenosa, e sono particolarmente indicati per i pazienti a rischio di forme gravi (cardiopatici, diabetici, ipertesi, soggetti fragili in generale). Secondo l’ultimo report Aifa, gli anticorpi monoclonali sono stati somministrati in Italia a 8.434 pazienti. Nella maggior parte dei casi sono stati utilizzati i mix di Eli-Lilly e Regeneron/Roche. Il vantaggio della combinazione di farmaci è quello di colpire il virus da più parti. D’altro canto i monoclonali hanno un problema: il prezzo. Una singola dose costa (per ora allo Stato) tra i mille e i 2 mila euro.
Il paracetamolo
La terapia domiciliare, uno dei cavalli di battaglia dei no-vax (secondo cui «siccome esistono le cure il vaccino non serve»), è descritta in una circolare del ministero della Salute del 26 aprile che prevede: monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente; misurazione frequente della saturazione di ossigeno; paracetamolo o antinfiammatori non steroidei (Fans). Gli altri farmaci (anticorpi monoclonali, cortisone, eparina) possono essere somministrati, tranne rari casi, in ospedale o centri specializzati e sotto stretto controllo medico. La vera «rivoluzione», secondo gli esperti, sarà quella degli antivirali, così come accaduto per l’Hiv e le epatiti B e C. Diversi gruppi di ricerca stanno studiando farmaci in grado di bloccare il virus, a basso costo e di facile assunzione. Quando arriveranno, la paura di Sars-CoV-2 e dei suoi effetti (anche a lungo termine) potrà essere davvero un brutto ricordo.