Corriere della Sera, 8 settembre 2021
Dall’introduzione a "Il fuoco di Pandora" di Matteo Strukul (Solferino)
«Magico e ineffabile» è il tema del fuoco. Ma, come il fuoco, inafferrabile e difficile da circoscrivere. La scelta dell’autore cade sull’antica Grecia, sul mondo variopinto, complesso e controverso del mito. Dovrebbe essere un saggio divulgativo, ma ne nasce una serie di monologhi teatrali, e la prospettiva narratologica è frutto di un’altra scelta – personale questa volta – e di una sfida: il cambiamento di prospettiva, il racconto dal punto di vista femminile.
Sfilano così sulla scena Pandora, la prima donna, Pentesilea, l’Amazzone, Didone, l’amante tradita da Enea, Medea, la sposa abbandonata da Giasone. Nella struttura, originale e complessa soprattutto nella parte relativa a Pandora, si inseriscono altri miti, tutti legati al fuoco, leggende tratte da quella infinita riserva che i Greci ci hanno lasciato in eredità.
Pandora raccoglie il testimone di Prometeo per vendicare il titano crudelmente punito da Zeus e per espiare la propria colpa: quella di aver aperto il vaso famoso donatole dal padre degli dèi e aver così riversato i mali sull’umanità. L’autore l’accompagna in un lungo e travagliato cammino di redenzione: è un’epica al femminile, in cui colei che fu la prima donna, l’Eva dei Greci, creata dal dio Efesto con acqua, terra e fuoco, percorre la terra degli uomini insegnando a usare il fuoco in tutti i modi possibili, ad amarlo e proteggerlo, a temerlo e combatterlo. E poiché nelle storie «si cela il potere della rinascita», a fornirlo di un «corredo di leggende»: per prima la storia di Fenice, il misterioso uccello che rinasce dalle sue ceneri; poi Fetonte e il fiammeggiante carro concessogli dal padre, il dio Sole, con cui il giovinetto inesperto incendia la terra finché viene abbattuto dal fulmine di Zeus; è la volta di Ecate, signora dell’oscurità, e delle due torce con cui fiocamente illumina il regno dei morti. Pandora compie così il cammino iniziato da Prometeo e la sua vicenda raccoglie insieme una storia del fuoco nelle sue applicazioni concrete, mista alle antiche leggende di morte, di rinascita, di distruzione.
Una vivida fiamma percorre tutto il libro: sia l’incendio di una foresta o l’incendio di Troia o il rogo degli eroi e delle streghe, sia la ferita ardente e bruciante dell’amore o del rimorso o di ogni smisurata passione. E le molteplici descrizioni sono di volta in volta diverse e «nuove», sorrette da un lessico ricco di varianti e da una «fervida» immaginazione («la corona di lingue rosse dal cuore d’oro» della fucina di Efesto, la «liquida fiamma» del fiume infernale Piriflegetonte, la «belva liquida», «il piccolo globo pulsante e bollente» — sono solo alcuni esempi).
Dopo la lunga introduzione di Pandora — frutto di una fantasia sapientemente orchestrata — Pentesilea, Didone e Medea si ricollegano maggiormente alle fonti (puntualmente indicate nella Nota d’autore) — ma anche qui con inserti e scelte personali, tese a evidenziare la prospettiva femminile e insieme il tema centrale del fuoco.
Il fuoco è spesso l’elemento alla cui luce ardente le donne amano sostare per rievocare la vita, il passato: come Pandora e più tardi Medea. Pentesilea, già ombra nell’Ade, si specchia nel Piriflegetonte, e nel «liquido fiume di fiamma» vede riflessa tutta la sua storia: una storia cruenta dove il fuoco marchia la persona (il seno destro delle Amazzoni mutilato per renderle più adatte al combattimento), «divora le viscere» per il rimorso (l’uccisione, sia pur accidentale della compagna Ippolita), brucia il cadavere di Ettore, le navi degli Achei e infine Pentesilea stessa, uccisa da Achille e sepolta a Troia con gli stessi onori tributati a Ettore. Da rilevare il ridimensionamento della figura di Achille, l’eroe degli eroi, che qui, pur sedotto dalla bellezza e dal coraggio della donna guerriera, non riesce a difenderne l’onore né a proteggere il suo corpo dagli insulti di Diomede (il mito dominante è quello di un Achille vincitore e nello stesso tempo innamorato e rispettoso della sua vittima illustre). Sono invece gli Atridi, entrambi, Agamennone e Menelao a compiere ciò che Achille non era riuscito a fare: recuperare il corpo di Pentesilea, renderlo a Priamo e al rito sacro e solenne della sepoltura eroica.
Se Achille viene, in qualche modo, diminuito, Enea viene sepolto dal disprezzo di Didone. Falso, subdolo, spergiuro, traditore. La condanna è netta e irreversibile, non c’è fato che tenga. Tre incendi connotano il monologo di Didone: l’incendio di Troia rievocato da Enea («la colossale pira di Troia»: la descrizione è magistrale) infiamma il cuore di Didone (è un «incendio che la divora») per finire tristemente nel rogo in cui la regina di Cartagine brucia tutti i ricordi di Enea e poi si uccide e si lascia cadere avvolta dalle fiamme «come rosso mantello».
Costruito in un crescendo di emozioni diverse e di colpi di scena, il libro di Matteo Strukul si conclude con Medea. Tema assai difficile. Fedele alla prospettiva femminile adottata che riconosce alla donna intelligenza, sensibilità, attenzione, coraggio, ponendola su un gradino privilegiato rispetto all’uomo, alla cui cieca brutalità e stolida violenza essa purtroppo spesso soccombe — l’autore ci offre una Medea inedita. La assolve dai suoi omicidi (Apsirto, il suo fratello carnale, Pelia, l’usurpatore di Iolco, Creonte e Glauce, re e principessa ereditaria di Corinto), perché compiuti nella follia d’amore per Giasone con la complicità del dardo di Eros che l’ha colpita nel cuore. Riconosce in lei la donna colta e sapiente, che si occupa della cura del corpo mediante il controllo del cibo, della salute attraverso la conoscenza delle uniche medicine note in quel lontano passato: le erbe officinali, da cui estrarre, mediante il fuoco, le pozioni curative. Ma tutto ciò non la preserva dall’errore: l’amore la travolge, come Didone, lei abbandona la Colchide, sua terra natale, segue Giasone, per aiutarlo uccide (Apsirto, Pelia), ma quando lui l’abbandona dopo il matrimonio e due figli, quando Medea è diventata donna della casa e del focolare, la fiamma che l’accende è funesta e fatale e si concreta nei veli avvelenati mandati in dono a Glauce che, rivestiti, bruciano orribilmente la figlia e il padre accorso in aiuto, scarnificandoli tra atroci dolori.