La Stampa, 8 settembre 2021
La guerra del prosecco
VITTORIO VENETO. C’è una nuova guerra del Prosecco e non è quella contro i dazi doganali, né tantomeno quella contro le contraffazioni. No, questa volta siamo nell’ambito della sostenibilità ambientale, del consumo di suolo, delle coltivazioni intensive: tutte tematiche in Veneto molto note, e altrettanto dibattute. Così, sulle colline da poco insignite del Marchio Unesco, o meglio sulla loro gestione, cala – alla vigilia di una vendemmia che si annuncia di qualità, ma con numeri più bassi – l’anatema del vescovo di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, che solidarizza con le famiglie di Miane colpite dall’avanzare dei vigneti.
In quella che è la prima lettera pastorale che si ricordi in tema di pesticidi e viticoltura, Pizziolo dice basta alla monocoltura del Prosecco, per dar spazio alla biodiversità. Il presule che amministra la diocesi sotto cui ricade l’area di produzione richiama al dialogo le diverse componenti del mondo viticolo e sollecita maggiore rispetto per la giustizia sociale che passa per lo stop al caporalato e al lavoro nero.
«Sentiamo forte nel nostro territorio il richiamo al rispetto dell’ambiente e della salute delle persone, spesso minacciati dall’abuso dei cosiddetti pesticidi», scrive il vescovo nella lettera presentata nella veglia diocesana sul creato, «come pure sento urgente richiamare l’attenzione sul tema della preservazione della biodiversità, in un’area in cui la monocoltura rappresenta un limite di cui tenere conto, tanto per le possibili ricadute economiche, quanto per quelle ambientali».
Le colline dell’Unesco – così le definisce il vescovo – devono essere valorizzate nella loro bellezza e arricchite dal patrimonio di valori che da sempre hanno contraddistinto la nostra gente. Ma, attenzione, l’inquinamento non è soltanto quello dei fitofarmaci di sintesi, c’è pure quello «ancora troppo maggioritario» dei combustibili fossili. Un impiego eccessivo che impone il cambiamento radicale negli stili di vita, «ad esempio preferendo l’uso della bicicletta a quello dell’auto, favorendo l’uso di energie rinnovabili, esprimendo il proprio concreto impegno verso forme di economia circolare per un minore spreco di risorse, vivendo con maggiore sobrietà per una riduzione generale dei consumi».
Il vescovo si dice preoccupato, «nella stessa misura», anche per le crescenti forme di ingiustizia sociale, «spesso sottaciute, dissimulate o talvolta perfino giustificate: dalle espressioni del caporalato presente anche nelle nostre terre, al lavoro “a nero” in cui spesso sono sfruttati gli immigrati che cercano qui da noi la possibilità di un futuro diverso, alle speculazioni o alle frodi che falsificano la genuinità dei prodotti soltanto in nome di un guadagno più elevato, ma senza tutele per la qualità dei prodotti e, soprattutto, per la salute degli operatori e dei consumatori».
Puntuali sono arrivati gli insulti al presule. Arriva a scrivergli «copate» (ucciditi) una persona, con tanto di nome e cognome. C’è poi chi lo invita a partire per l’Africa, altri lo provocano affermando che la Chiesa non sopravviverebbe senza i denari dei proseccari. Il vescovo non si scompone: «Quando abbiamo messo in cantiere questa lettera», commenta «immaginavo che ci sarebbero state varie reazioni, anche come quelle che sono poi apparse sui social. Il fatto è che quando si toccano certi temi – l’immigrazione, la vita nascente, l’ambiente… – c’è sempre chi reagisce in modo per lo meno “vivace”. Vorrei invitare questi signori a leggere la mia lettera, per poi commentare con maggiore cognizione di causa».