la Repubblica, 8 settembre 2021
Viaggio al termine della creatività
Lo sappiamo da un pezzo, la mitologia contemporanea non riguarda più come quella classica solo personaggi e oggetti, ma anche concetti astratti. Uno dei più diffusi è senza dubbio “creatività”, uno dei feticci verbali che più circolano e che viene scambiato intensamente come se fosse moneta sonante. Stefano Bartezzaghi con il suo nuovo libro Mettere al mondo il mondo (Bompiani) ha deciso di recarsi alla zecca linguistica che stampa le valute e saggiare le banconote che circolano con tagli di diverso valore.
Il primo, di taglio grosso, è quello che associa la creatività al “nuovo”. Si ha creatività quando si produce qualcosa che non c’era. Di più: creare vuol dire far esistere dal nulla. Così “creare” e “creazione” si riferiscono all’attività di un creatore dell’universo, a Dio. Detto questo, si apre una molteplicità di questioni e problemi non facili da dirimere dal momento che questa facoltà si applica oggi a una serie di oggetti e situazioni molto differenti tra di loro: la creatività dei bambini, quella degli scienziati come Einstein, degli artisti come Pablo Picasso e persino dei calciatori come Diego Armando Maradona, che segna in modo imprevedibile e imprevisto. E anche un panettiere, o un pasticciere, ora possono essere definiti creativi. Nella nostra società la parola “nuovo” ha assunto un valore di prestigio socialmente condiviso, ma, come molti di questi valori, contiene aspetti fortemente contraddittori.
Il secondo taglio circolante porta impressa la natura irrazionale della funzione creatività: sfugge alla logica, alla coerenza, alle aspettative; ragione per cui mobilita tutta un serie di significati e definizioni che attengono all’aspetto intuitivo. Se per essere creativi bastasse essere razionali, cosa sarebbe la creatività? Una serie di regole date da applicare? Già dalle prime pagine del suo libro, scritto come un meraviglioso cruciverba con tante caselle vuote da riempire e molte definizioni da cercare, Bartezzaghi ci avvisa: il termine creatività è facile da utilizzare, ma difficile, se non proprio impossibile da definire. Per dare un ordine a questa congerie di problemi, propone al lettore l’immagine di una piramide di discorsi, procedendo dal più semplice al più complesso.
In cima, vicino al vertice, c’è l’ambito artistico, che è quello che va dalla storia delle religioni alle teorie dell’arte, e corrisponde alla funzione simbolica; più sotto l’ambito conoscitivo, che riguarda le scienze cognitive e l’intelligenza artificiale, ovvero la funzione intellettiva; poi viene quello tecnologico e produttivo, che attiene all’ingegneria, alla scienza delle telecomunicazioni, al design thinking; infine c’è la base della piramide, quella su cui poggia tutto: l’ambito mediale (moda, pubblicità, giornalismo, fotografia, fumetto, televisione), che è poi la funzione mitologica della società in cui viviamo. Una piramide di discorsi che con il suo rasoio di Occam l’autore separa e analizza punto per punto. Così il cruciverba va componendosi per opposizioni oltre che per definizioni, per orizzontali che incrociano le verticali.
La parte centrale del libro riguarda poi un problema di grande attualità anche politica: la creatività come narrazione. Se la creatività è una mitologia, «allora deve essere essa stessa una storia». Quale sarà il contenuto di questa storia? La trasformazione. Sei creativo quando ti viene riconosciuta la capacità di trasformare. Una attività in cui si corre il rischio della ripetizione e della reiterazione: è la banalità. Questo è il conio falso? Non è un caso che il libro precedente di Bartezzaghi sia stato dedicato proprio alla banalità, il contrario di quanto qui argomenta.
La sanzione di “creativo” non è un dato individuale, bensì sociale. Questo è il rovesciamento rispetto al passato, quando l’artista, come un personaggio divino, compiva lo sforzo metafisico di creare dal nulla. Oggi la creatività appare un mandato sociale. Effetto della democrazia del fare e del consumare, della moltiplicazione dei media che permettono a tutti di essere creativi in varie forme e maniere. Ma a che prezzo e in che modo?
Mettere al mondo il mondo non è solo un libro di semiotica, ma anche un libro politico con la sua cassetta degli attrezzi, che smonta e rimonta continuamente le questioni decisive della creatività, i suoi pregi, i difetti. I passaggi più sorprendenti avvengono quando l’autore, dopo aver costruito con una serie di argomentazioni il suo castello di pensieri, idee e parole, li abbatte con un piccolo colpo e ricomincia a costruire lì accanto qualcosa di diverso. L’attività di mettere al mondo il mondo è dunque una attività linguistica, un gioco continuo di parole e definizioni di cui Stefano Bartezzaghi cruciverbista è senza dubbio un maestro. Un creativo? Direi piuttosto: un immaginativo. Se la creatività pensa, come scrive Bruno Munari, l’immaginazione vede, rende visibile qualcosa che già c’è: il mondo.