la Repubblica, 8 settembre 2021
Il punto sul cloud italiano
ROMA – L’Italia sistema la prima pietra di un’infrastruttura digitale che il ministro Vittorio Colao paragona, per importanza, all’Autostrada del Sole. I servizi di Comuni, Regioni, Asl, ospedali, scuole miglioreranno, ma a una condizione: è indispensabile che i dati e le procedure per gestirli diventino digitali. Ed è urgente trasferire procedure e informazioni su un pianeta nuovo, in uno spazio moderno che gli esperti chiamano cloud o nuvola. Un ambiente che l’Italia proteggerà dagli sguardi indiscreti dei fornitori esteri, soprattutto cinesi. «Lavoriamo alla casa sicura degli italiani», promette Colao. I soldi, quelli ci sono. Già disponibili 1,9 miliardi di euro, largamente coperti dagli aiuti europei al nostro Piano di rilancio post-pandemia (il Pnrr). Lo Stato si spenderà in prima persona, visto che il cloud nazionale avrà un controllo pubblico per molti anni. Ma la scalata resta durissima.
Bisogna costruire un’autostrada senza avere cemento a sufficienza. A Vittorio Colao (responsabile dell’Innovazione tecnologica del governo) i tecnici del ministero hanno presentato un quadro pesante. Nel campo del cloud, l’Italia e l’Europa sono indietro e dipendono largamente da fornitori extra- comunitari (cinesi e americani in testa). I data center che custodiscono le informazioni, i computer che se le scambiano, le chiavi crittografiche che proteggono il cloud dalle intrusioni di pirati dalla diabolica bravura: in questo settore strategico le aziende Ue pesano, nel mondo, per un misero 10%.
I giganti che dominano il mercato del cloud – soprattutto in Cina se ne approfittano. Tu compri le loro infrastrutture, i servizi e i software. Paghi tanto e per giunta devi accettare, nel contratto, clausole indigeribili. Alcuni fornitori cinesi ti avvisano subito: se il governo di Pechino ce lo ordinerà, noi dovremo trasferirgli tutti i dati del tuo Paese che gestiamo nel cloud. Informazioni sensibili dei nostri ministeri chiave, delle imprese pubbliche che lavorano nella difesa o nell’aerospazio, dell’esercito e delle forze dell’ordine sono alla portata di potenze straniere. Per questo il governo non sta solo avviando un cloud nazionale. Punta a creare dei campioni italiani in questo campo. Roberto Baldoni, direttore della nuova Agenzia per la Cybersicurezza nazionale, sogna che imprese anche nuove si specializzino nella creazione e nell’aggiornamento proprio delle chiavi crittografiche.
Intanto scaldano i muscoli le prime tre cordate: Tim con Cassa Depositi e Prestiti, Sogei con Leonardo, Almaviva con Aruba. Puntano a realizzare il Polo Strategico Nazionale, la cabina di regìa che governerà l’operazione cloud. Al Polo faranno capo quattro enormi data center, due al Nord e due nel Centro Sud: i pilastri del progetto.
Il governo, che è certo interessato al contributo dei privati, immagina il Polo a controllo pubblico, almeno per alcuni anni. Intanto, tra il 2022 e il 2025, il 75% dei dati dell’intera Pubblica Amministrazione sarà trasferito nel cloud. Anzi, nei cloud. Il governo ne prevede 5 di diverso tipo. Il primo e più importante custodirà informazioni strategiche in server e computer che saranno nell’Ue. Le loro chiavi crittografiche di protezione saranno gestibili solo in Italia. Un cloud pubblico non qualificato, il meno importante, avrà i dati anche in server non europei. Fornitori – con targa soprattutto Ue e Usa – garantiranno poi servizi cloud di due tipi: Iaas (apprezzati perché un ospedale, una Asl, un Comune può personalizzare le prestazioni che offre) e Paas (tra i migliori perché sempre aggiornati).