Corriere della Sera, 8 settembre 2021
Perché quello di Assange non è vero giornalismo d’inchiesta
Per aver messo in discussione la puntata di «Presadiretta» (Rai3) dedicata a Julian Assange, ho ricevuto alcuni rilievi da Adriano Sofri e da Peter Gomez. Per loro, diversamente da quello che avevo sostenuto, quello di Assange è buon giornalismo.
La mia critica si fondava su due punti essenziali. Il primo: il servizio di Riccardo Iacona era tutto in difesa di Assange, senza una sola voce contraria (il che non mi pare buon giornalismo). Il secondo: a differenza di Iacona, non sono convinto che Assange vada celebrato come un eroe dell’informazione libera e diretta, scevra dai filtri manipolatori dei media tradizionali e dei governi.
Alla mia domanda se l’hackeraggio sia grande giornalismo, sia Sofri che Gomez rispondono di sì, a patto che il fine giustifichi i mezzi (alla machiavellica ragion di Stato si sostituisce una nuova, fantomatica ragion di Verità). Ma è giornalismo quello di Assange? Come hanno scritto Eugenio Cau e Paola Peduzzi, «Assange non ha mai fatto giornalismo d’inchiesta. Il metodo Wikileaks consisteva nel riversare masse di documenti segreti o riservati online, senza vaglio e senza contesto. È il contrario del giornalismo, e a causa di questo metodo Edward Snowden, il leaker della Nsa, ha avuto non poche discussioni con Assange. A chi oggi definisce Assange come «giornalista», andrebbe ricordato che lui stesso ha sempre preferito farsi definire come attivista (lo disse a Brian Stelter nel documentario «Page One», per esempio), e in quanto tale Assange ha sempre perseguito un’agenda politica» (Il Foglio, 13 apr 2019). Con i documenti riservati provenienti dalla Russia, Assange è stato molto più cauto e selettivo, senza mai invocare la libertà di stampa. Ha usato la «trasparenza» a fasi alterne come, per esempio, nella campagna contro Hillary Clinton, non priva di conseguenze. Insomma, mi pareva ci fossero buoni motivi per non santificarlo su una rete del servizio pubblico italiano. Tutto qui.