Il Post, 7 settembre 2021
Cosa penso davvero di Putin
Qualche giorno fa ho fatto un’intervista con Alessandro Trocino del Corriere della Sera, su Sanguina ancora, un romanzo che ho scritto sulla vita di Fëdor Michajlovič Dostoevskij; è stata un’intervista che a me è piaciuta, e mi sono divertito, a farla, a parte un momento, quando Trocino, a un certo punto, parlavamo di Dostoevskij, ha detto «Certo che Putin, però…».
Che è una cosa che mi ha fatto rimanere male e io, che sono una persona a cui piace perdersi nella propria testa, ho questa caratteristica, mi sono chiesto: «Ma come mai, ci son rimasto male?».
E non lo so, di preciso.
Forse perché la domanda di Trocino, mi è molto simpatico, Trocino, e lui stesso ha scritto che gli è venuto subito il dubbio che non fosse una domanda molto per la quale, ma la cosa interessante, secondo me, di questa sua domanda, è il fatto che mi sembra rispecchi il pregiudizio che molti noi occidentali abbiamo, prima di andare in Russia: noi abbiamo un’idea abbastanza negativa, dei russi, ed era un’idea che, prima di andare in Russia, condividevo anch’io; io pensavo che i russi fossero sottomessi, che accettassero passivamente tutto quello che veniva dall’alto, poi sono stato in Russia e mi sono accorto che è vero il contrario.
Che i russi sono tutt’altro che sottomessi, e una delle cose che mi piacciono e che, nello stesso tempo, mi dispiacciono, dei russi, è la loro indipendenza di giudizio, anche dal potere politico (adesso si vaccinano, per esempio, pochissimo, perché non si fidano affatto delle loro autorità sanitarie); i russi sono, in generale, abituati a ragionare con la propria testa, per quanto possa sembrare strano, per chi in Russia non c’è mai stato,
Dopo l’intervista di Trocino ho fatto una diretta instagram su questo tema e ho scritto un bigliettino, per presentarla, dove c’era scritto: «A me piace la testa, dei russi, il loro atteggiamento, il loro modo di essere, la loro lingua straordinaria, il prendersi cura gli uni degli altri. Alcuni, inspiegabilmente, vogliono bene anche a me. Tutte queste cose» ho scritto «non hanno niente a che vedere con Putin».
Che poi, anche in generale, non so, per me uno dei romanzi più belli della letteratura italiana del secondo Novecento è Salto mortale di Luigi Malerba, che è uscito nel 1970; i presidenti del consiglio, nel 1970, in Italia, sono stati due, Mariano Rumor e Emilio Colombo, e cosa pensereste di un francese che, dopo aver saputo che a me piace molto Salto mortale, di Luigi Malerba, mi dicesse «Sì, l’ho letto anch’io, è bellissimo, certo però che Mariano Rumor e Emilio Colombo…».
Oppure, non so, un libro che ho letto con grande piacere, da bambino, Il giro del mondo in 80 giorni, di Jules Verne, che è stato forse il mio primo romanzo preferito, e che è uscito in Francia nel 1873, quando il Presidente della Repubblica Francese era un signore che si chiamava Marie Edmé Patrice Maurice de Macmahon duca di Magenta e maresciallo di Francia, ecco immaginiamo che io, all’epoca, avevo otto anni, avessi detto a qualcuno che avevo letto Il giro del mondo in 80 giorni e che mi era piaciuto moltissimo, e quello mi avesse risposto «Ah, certo, Il giro del mondo in 80 giorni è bello, ma Marie Edmé Patrice Maurice de Macmahon duca di Magenta e maresciallo di Francia…».
Oppure, ancora una e poi smetto, il libro italiano che mi è piaciuto di più, tra quelli che ho letto quest’anno, è Cose da fare a Francoforte quando sei morto, di Matteo Codignola, che è stato scritto tra il 15 luglio del 2020 e il 15 maggio del 2021, quando presidenti del consiglio, in Italia, erano Giuseppe Conte e Mario Draghi; immaginatevi un russo che, saputo che a me è piaciuto molto Cose da fare a Francoforte quando sei morto, di Matteo Codignola, mi dicesse «Be’, non discuto, Cose da fare a Francoforte quando sei morto è un grande libro, certo però che Giuseppe Conte e Mario Draghi…».
Cioè, in sostanza: cosa c’entra? Cioè, che legame c’è, tra letteratura e politica?
Oltretutto, se penso alla letteratura russa contemporanea e a Putin, «Certo che Putin…», mi viene in mente il caso dei romanzi di Vladimir Sorokin, che è uno degli scrittori contemporanei più conosciuti e più stimati, e che per un certo periodo è stato anche uno dei più venduti, dopo che un gruppo di giovani sostenitori di Putin, che si chiamavano Iduščie vmeste (letteralmente: “Quelli che camminano insieme”), avevano cominciato una campagna di boicottaggio dei romanzi di Sorokin, che loro consideravano pornografici. Li bruciavano davanti alle librerie: conseguenza di questo boicottaggio, il fatto che i libri di Sorokin sono stati i più venduti, in quel periodo, che è la stessa cosa che succederebbe in Italia se un politico italiano, o un partito politico, o un movimento di una certa rilevanza mediatica, bollasse un romanzo italiano come immorale, o lo accusasse di una nefandezza qualsiasi: provocherebbe un’ondata di interesse, intorno a quel libro (mi piacerebbe molto succedesse a un mio libro ma, ne ho pubblicati 45, non son mai stato capace di farlo succedere).
E, per finire, mi viene in mente una cosa che mi è successa qualche anno fa, alla vigilia delle elezioni in Russia, quando un quotidiano mi ha chiesto cosa pensassi delle elezioni russe (non chi avrebbe vinto, che quello lì, era troppo facile), e a me è venuto subito da pensare all’Italia, cioè al fatto che io, in Emilia, non ero governato dalla giunta regionale emiliana, né dalla giunta comunale di Casalecchio di Reno, che è il posto dove abito, né ero stato governato da quella di Parma, che è il posto dove ho abitato per tantissimo tempo.
Io, allora, a ripensare al Maestro e Margherita di Bulgakov, che nelle prime pagine c’è una signora che ha un chiosco di bevande nel centro di Mosca e apre due succhi di albicocca e intorno si spande odore di pettinatrice, e io, da quando ho letto quella cosa lì, tutte le volte che sento odore di pettinatrice penso al Maestro e Margherita, e se non avessi letto Il maestro e Margherita probabilmente non avrei mai riconosciuto, nella mia vita, l’odore di pettinatrice, o a ripensare alle poesie di Chlebnikov, e “le ragazze, quelle che camminano, con stivali di occhi neri, sui fiori del mio cuore”, o alle cose che ha scritto Charms, e che “Quando compri un uccello, guarda se ci sono i denti o se non ci sono. Se ci sono i denti, non è un uccello”, o alle opere di Learco Pignagnoli, filosofo emiliano, e a tutte le volte che mi è tornato in mente che “tranne me e te, tutto il mondo è pieno di gente strana, e poi anche te sei un po’ strano”, a me all’epoca è venuto da pensare che io, invece che dai vari governi pentapartito o monocolore che si dice si siano alternati alla guida del paese negli anni della mia adolescenza e della mia giovinezza, io, piuttosto che da loro, sono stato governato da Bulgakov, da Chlebnikov, da Charms, da Mandelštam, da Blok, da Puskin, da Anna Achmatova, da Lev Tolstoj, da Gogol’, da Dostoevskij, da Venedikt Erofeev, da Iosif Brodskij, da Learco Pignagnoli, da Ivan Gončarov, e sono stato, a volte, per degli attimi, per dei giorni, per dei mesi, un suddito felice e riconoscente.
Allora per me, e per qualche altro emiliano, penso, e magari anche per qualche non emiliano, un evento politico più importante delle elezioni di Putin sarebbe che qualcuno, da qualche parte, in Russia, o in Ucraina, a Kaluga, o a San Pietroburgo, o a Rostov sul Don, o a Volgograd, di notte, nel suo appartamento ancora sovietico, uno che non sappiamo neanche come si chiama, e che fa, probabilmente, un mestiere normale, come ispettore delle mense scolastiche, o qualcosa del genere, sarebbe importante che quello lì continuasse a scrivere il romanzo al quale sta lavorando da dei mesi, che continuasse a rubare tempo al sonno per tirare fuori dalla sua pancia il romanzo destinato a governarci, noi emiliani, per i prossimi anni, e a fare di nuovo, di noi emiliani, e forse di qualche altro non emiliano, dei sudditi felici e riconoscenti, speriamo, speriamo, avevo scritto qualche anno fa quando mi avevano chiesto cosa pensassi delle elezioni russe.