Linkiesta, 7 settembre 2021
Per Zan dare di frocio a un leghista anti Zan non è reato
Abbiamo tutti un qualcosa da vendere: un prosciutto cotto, una batteria di pentole, nella più parte dei casi un libro. Siamo tutti disposti a tutto per vendere il nostro prosciutto, figuriamoci se proprio io, che per diventare bestseller sono pronta a promettere una bici con cambio shimano in omaggio, posso fare la morale ad Alessandro Zan, e al suo prosciutto da vendere.
“Senza paura – La nostra battaglia contro l’odio” non è ancora uscito (sarà in vendita tra una settimana) ma è già al centro del dibattito, essendo un libro che è proiezione del suo autore almeno quanto lo era quello di Rocco Casalino (hanno lo stesso editore, Piemme, che poi è anche l’editore di Renzi: la battuta sull’ego fatela voi).
Lo dico senza averlo letto, lo dico solo notando che, sulla copertina di “Senza paura”, c’è l’uomo che è su tutti i giornali da un anno, Alessandro Zan, nella sua brava posa con pugno sotto il mento (senza orologio, per non distrarci).
Come tutti coloro che hanno un prosciutto in uscita a inizio settembre, Zan gira per code di festival estivi a promuoverlo sebbene non ancora uscito, e fa filtrare anticipazioni che possano tenere il libro al centro del dibattito, rendendolo oggetto di conversazione più appetibile rispetto alla certificazione verde per gli scolari o a quale sia la settimana migliore per fare il cambio degli armadi.
Ieri, l’anticipazione scelta per far rumoreggiare noi che ci caschiamo era: «Oggi tra Camera e Senato ci sono 945 parlamentari. Quelli apertamente gay e lesbiche sono quattro: Ivan Scalfarotto, Tommaso Cerno, Barbara Masini e io. È statisticamente impossibile che siamo solo noi quattro, e io so per certo che ci sono parlamentari gay in Forza Italia e in Fratelli d’Italia. In vacanza a Mykonos ho incontrato un deputato della Lega, del quale mi ricordo cartelli particolarmente aggressivi contro la legge Zan. Stava baciando un uomo».
Analizziamo questa frase in tutti i suoi raccapriccianti aspetti.
Il primo è l’identitarismo: tu sei gay e osi essere contro la Zan? Ciò è contraddittorio. Sarebbe come, chessò, essere una femminista e pensare che una donna possa in questo secolo far carriera senza troppi ostacoli. Essere un ebreo e non considerare antisemita la prosa di Philip Roth. Tutto ciò che non è l’adesione alle frange più estreme di demenza d’un gruppo identitario ti squalifica come appartenente a quel gruppo.
In particolare, sei un traditore della causa se sei gay e pensi che le priorità siano altre rispetto al fatto che qualcuno possa dirti «busone» (termine bolognese per dire sia «omosessuale» sia «fortunato»: purtroppo quando approveranno la Zan non potranno multare per incitamento all’odio Lucio Dalla, per il verso di Dark Bologna «c’è una puttana, anzi no, è un busone»; potranno però ancora perseguire Francesco Guccini per quell’antico «Bologna bambina perbene, Bologna busona»).
Giancarlo Loquenzi, giornalista di RadioRai che non ha fatto dell’essere omosessuale un’etichetta commerciale (il che, come la carriera di Zan c’insegna, è sempre un errore), ieri ha chiesto su Twitter, rispetto a questo passaggio del libro di Zan, se uno non possa essere frocio ed essere contro la Zan. Ha messo i puntini per non scrivere per esteso «frocio», ma ha usato quella parola lì, perché quella è la parola che, in registro colloquiale, usano i gay: non ne ho mai sentito uno definirsi «omosessuale» – d’altra parte le donne parlano delle loro tette, mica del seno. Twitter è più simile a una conversazione con gli amici o a una ricetta medica? Tette o seno? Gay o frocio?
Il dibattito non s’è tenuto, perché i commentatori erano troppo impegnati a dargli dell’eterosessuale leghista (che dev’essere abbastanza divertente, per un gay già radicale).
Troppo impegnati a ritenere che la cosa grave non sia – come ha fatto Zan – implicare che non si possa essere ricchioni e avere dubbi sul senso d’una legge quanto meno controversa, ma chiamare vanghe le vanghe (è una citazione d’una commedia d’Oscar Wilde, in cui una nobile diceva che lei quando vedeva una vanga la chiamava vanga, e l’altra diceva che era lieta di non aver mai visto una vanga: con «pane al pane» si perde l’effetto «tu taci, contadina»).
C’è però un aspetto persino più raccapricciante dell’identitarismo, nel penzierino di Zan, ed è l’outing. Cioè quella pratica per cui io svelo la sessualità di qualcuno che non ha ancora deciso di svelarla. Dico che sei gay prima che lo sappiano i tuoi genitori o il tuo capufficio o i tuoi amici. Ti sputtano. Non rispetto la tua sensibilità, i tempi del tuo percorso di disvelamento, la tua identità – così preziosa che gli zanisti ne stanno riempiendo da un anno i dibattiti.
Alessandro Zan, così attento alla sensibilità da considerare gravissime certe parole – e da avere fan che per le parole colloquiali, sebbene dissimulate da puntini, ritengono d’agitarsi come per i fatti gravi – Alessandro Zan considera legittimo fare outing a uno di destra, che in quanto di destra si merita tutto, un po’ come le stuprate in minigonna.
Certo, come tutti i pettegoli vili non fa i nomi (una tecnica che, allorché usata dai tabloid, si chiama «blind item»), contando sulla canea prontamente partita sui giornali on line: chi è il deputato leghista che Zan ha visto baciare un uomo a Mykonos?
La risposta giusta, ve lo dico io che sono una comare e non un politico tanto attento alle sensibilità di gay e quasi gay, alle identità di genere e ai pronomi, alla privacy e alle tutele, la risposta giusta è: ma saranno pure cazzi suoi.
E forse, caro elettorato suscettibile e tanto attento a questi temi, sarebbe il caso che tu rivedessi le tue priorità e il tuo buon senso, che smettessi di concentrarti sui registri lessicali e sul magico potere delle brutte parole che ti fanno sentire discriminato, e ti sdegnassi invece per l’orrendità d’uno stato totalitario in cui, se non la pensi come me, tutto è lecito. Anche sputtanare la tua sessualità in modi che considererei raccapriccianti se venissero usati con un mio sodale.
Il nemico politico che usa, come jolly pigliatutto, la volta che mi ha visto baciare un uomo mentre mi fingevo eterosessuale, quella roba lì è un episodio straziante che potrebbe stare nell’autobiografia dolente d’uno Zan, se raccontato da uno di sinistra.
Se invece è un leghista, beh: se l’è cercata. Se invece è un leghista, si può serenamente fare un’eccezione, se si ha un prosciutto da vendere.
Complimenti vivissimi, proprio l’impostazione di pensiero che vorrei da gente cui affido la difesa dei miei diritti.