La Stampa, 7 settembre 2021
I paradisi fiscali fanno ricche le banche
Monte dei Paschi è la seconda banca europea, dietro all’inglese Hsbc, per profitti realizzati tra il 2018 e il 2020 in paradisi e rifugi fiscali. E, insieme con Intesa Sanpaolo, lo stesso istituto senese, dove il Tesoro da fine 2017 staziona oltre il 60% del capitale, guida la classifica dei gruppi europei che, negli ultimi sette anni, hanno intensificato la presenza in Paesi che offrono aliquote fiscali più leggere. I dati sono dell’Osservatorio fiscale europeo (Eu Tax Observatory), che analizza l’attività di 36 gruppi bancari nei Paesi definiti “tax haven” o rifugi fiscali, dalle Bahamas a Hong Kong e Macao, dal Lussemburgo a Gibilterra, passando per l’Irlanda, le Cayman e Panama ("paradiso fiscale” perché figura nella “black list” 2021 dell’Ue).
Ebbene, dallo studio emerge che, in media, i gruppi bancari europei, dal 2014 al 2020, hanno contabilizzato 20 miliardi di profitti riconducibili a rifugi fiscali, pari al 14% degli utili complessivi. «La redditività nei tax haven – si legge nello studio – è straordinariamente elevata: 238mila euro per dipendente», rispetto ai 65mila euro dei Paesi a imposizione fiscale maggiore.
Non solo. In cima alla lista delle banche che hanno intensificato la presenza in rifugi fiscali negli ultimi sette anni, ci sono due italiane, ossia Mps e Intesa, con incrementi rispettivamente del 19,4 e del 12,2%, seguite da Hsbc (+7,9%), Barclays, Nordea, Bbva e Banco Santander. Più in particolare, la banca senese ha visto gli utili prima delle imposte in arrivo dai “safe haven” crescere dal 30,3% dei profitti totali del periodo 2014-2016 al 49,8% del 2018-2020, mentre il gruppo milanese è passato dal 12,5 al 24,6% e Hsbc dal 54,4 al 62,3%, la più alta percentuale tra gli istituti censiti. «Per Intesa – sottolinea lo studio – l’aumento della presenza è collegato all’anno fiscale 2020, durante il quale la banca ha presentato massicce perdite in Italia», motivo per cui i profitti dall’estero hanno acquisito automaticamente più peso. Intesa precisa che il report «non tiene conto del regime ordinario di detassazione dei dividendi incassati e delle plusvalenze realizzate» e spiega che «l’aumento percentuale degli utili realizzati in Irlanda e Lussemburgo non dipende da uno spostamento di attività o di utili ma dalla riduzione di quelli realizzati in Italia nell’anno della pandemia da Covid-19». Un ragionamento analogo sembra potersi applicare a Mps, che pure puntualizza che «la ricerca non rappresenta correttamente la realtà in quanto basata su informazioni incomplete».
Lo studio arriva poi a mostrare come l’introduzione di una tassa minima potrebbe avere «impatti significativi dal punto di vista delle entrate» per il Fisco europeo. Con l’introduzione di una aliquota del 25%, il report stima che il campione di banche europee analizzato dovrebbe pagare tra i 10 e i 13 miliardi di imposte aggiuntive annue. Mentre l’extra gettito scenderebbe a 6-9 miliardi in caso di aliquota al 21% e a 3-5 miliardi in caso di aliquota al 15 per cento. Con quest’ultima percentuale che rappresenta la tassa minima globale alla quale ha dato un primo via libera il G20 di luglio.