Corriere della Sera, 7 settembre 2021
La storia di Ambrogio Crespi, il regista dell’antimafia condannato e graziato (in parte) da Mattarella
«Il carcere che ho vissuto io, cioè quello di massima sicurezza per i mafiosi, è duro: se poi lo condividi con chi hai combattuto, diventa difficile e ti segna. Io non ho mai iniziato a pensare come un detenuto. E tra i detenuti ho trovato tanta voglia di cambiare e di riscatto, che non è mai scontata e non è maggioritaria. Ma in carcere la sofferenza è inaudita. Specie se, per non traumatizzare i tuoi figli piccoli, devi inventare una straordinaria narrazione in cui il loro papà è dovuto di colpo sparire in missione segreta, dentro un bunker, per far fare la pace a due popoli... Non volevo che, andando a trovare il papà, finissero per sentire come “nemici” gli agenti, le divise, la legge, la giustizia, e magari invece come “amici” proprio quelli dietro le sbarre. E lo straordinario è che anche a scuola tutti i genitori degli altri bambini hanno coperto questa storia, è stata davvero una magia...».
Mica male come Zelig giudiziario: nello stesso uomo, Ambrogio Crespi, ecco un condannato definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa (elezioni 2010 a beneficio dell’assessore regionale lombardo Domenico Zambetti), ma anche un regista di film antimafia, e ora anche un graziato (in parte) dal presidente della Repubblica che ebbe il fratello ucciso dalla mafia.
Con chi dunque si parla, quando si parla con Ambrogio Crespi? «Con una brava persona, padre di due figli, marito di una donna fantastica, regista per passione – si descrive —. La condanna è una cosa lunare, assurda, non mi appartiene, culturalmente incompatibile con le mie posizioni, e per me basta leggere le carte del processo per rendersi conto che esiste un solo Ambrogio. Sono stato condannato – dice – per una telefonata anni dopo le elezioni, e per aver fornito voti a un politico a me sconosciuto».
Detenuto a scontare 6 anni, Ambrogio Crespi (fratello di Luigi, che nel 2001 fu il sondaggista anche di Berlusconi) sei mesi fa ha ottenuto il differimento della pena sino al 9 settembre, in attesa della decisione del Quirinale sulla grazia chiesta da sua moglie e in effetti arrivata il 2 settembre dal presidente Sergio Mattarella: ma parziale, su un segmento di 14 mesi che fa scendere la pena residua sotto il tetto dei 4 anni, dunque scontabili (lo deciderà il Tribunale di Sorveglianza) o in affidamento in prova ai servizi sociali o di nuovo in carcere.
Venezia
Ho aiutato Simona Ventura nel film sui morti di Bergamo. Lo presenteremo al Festival
Intanto domani, il regista di «Terra Mia» e dei documentari su Enzo Tortora e sul Capitano Ultimo, per adesso libero, tornerà al Festival del Cinema di Venezia, dove era già stato nel 2016 con il docufilm sul carcere in Italia Spes Contra Spem, alla presenza dell’allora Guardasigilli Orlando: «Ma ci torno come autore de Le 7 giornate di Bergamo – spiega Crespi —, grazie alla società di comunicazione PSC per cui lavoro e che mi ha consentito di contribuire alla sceneggiatura del film diretto da Simona Ventura» sulla Bergamo flagellata dal Covid.
La giudice di sorveglianza, nel concedergli a giugno il differimento della pena, ha scritto che c’è una certa «difficoltà a conciliare» il condannato Crespi «con l’uomo di oggi, divenuto un simbolo positivo anche della lotta alla mafia» da quando «ha indirizzato le proprie capacità professionali verso produzioni pubblicamente riconosciute come efficaci strumenti di messaggi di legalità e lotta alla criminalità».
Esistono quindi due Ambrogio Crespi?: «No! Esistono due questioni. Il reato, per cui sono stato condannato e per il quale, benché estraneo, mi sono costituito. E la pena, che per la Costituzione deve avere un fine riabilitativo. Il Tribunale di Sorveglianza mi ha restituito la libertà ritenendo che nel mio percorso non fosse necessaria la correzione carceraria, e usando per me parole lusinghiere che ho atteso per anni. Il gesto di clemenza del presidente Mattarella, egli stesso vittima di mafia per l’assassinio di suo fratello Piersanti, nell’anniversario della morte del generale Dalla Chiesa, e a soli 6 mesi dalla mia condanna in Cassazione, ha un valore umano e politico straordinario». La grazia però non cancella la condanna nei tre gradi: «Io ho accettato la sentenza ma, poiché ha condannato un innocente, non mi resta che chiederne la revisione e ricorrere a Strasburgo: ritengo di essere stato condannato in base al libero e legittimo convincimento dei giudici di tre gradi di giudizio senza prove e riscontri fattuali».
Calamita di due letture contrapposte – vittima di un errore giudiziario in qualche modo in via di rattoppo, o furbastro trasformato in «santino» dalla mobilitazione di una lobby mediatica e politica —, Crespi prova a smarcarsi: «Credo nella giustizia, e credo d’avere diritto di essere giudicato per quello che non ho fatto, senza pregiudizi. Poi c’è la mia vita oggi e in questi anni, sotto gli occhi di tutti. Io sono nudo». In carcere, dice, tornerà comunque: «È un dolore che ti fa apprezzare il rumore della vita intorno a te. Sì, ci tornerò da regista e da volontario di Nessuno Tocchi Caino».