il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2021
Fabrizio Mangoni paragona i politici ai dolci
Lasciata felicemente l’università e il lavoro da urbanista, Fabrizio Mangoni dedica ogni energia alle sue molteplici gastroscoperte. La più interessante delle quali, per lievi e giocherellone che possano sembrarvi, è la fisiognomica dolciaria.
«Il dolce, nella sua complessità, produce comparazioni poco arbitrarie e illustra il carattere di chi lo mangia: il suo alter ego. Il dolce si compone della pasta (è frolla? È dura? È fragile?), della crema (cioè l’anima, la passione, l’idea), infine della decorazione (come si presenta: timida? Aggressiva?). Elementi che riproducono, nella comparazione più credibile di quanto si creda, la personalità di ciascuno».
L’uomo espresso in dolce. Qui è il punto.
«Esattamente. Io dico che si può, e i risultati sono eccellenti».
Professore, allora procediamo e puntiamo subito al potere supremo. Mario Draghi chi è?
«Un torrone bianco senza alcun dubbio. Il suo odore di santità, l’extra corpus della politica, ha la forza candida dello zucchero e del miele. Ma il torrone è all’apparenza candido. Non si scioglie, si fatica a spezzarlo. E il suo candore nasconde la ruvidezza dell’impasto. L’uomo è infatti ruvido, solo apparentemente candido. Dice le cattiverie con un mezzo sorriso».
E Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo?
«Un mont blanc. Un dolce che posa su una base di meringa, struttura quasi evanescente, si gonfia e si sgretola. I cinquestelle sono la meringa, la base franosa di Conte. Su cui poggia però la pasta di castagna, con i suoi innumerevoli fili: è l’articolazione, ora seduttiva, in qualche caso inebriante, con cui Conte cerca di valorizzare la sua proposta politica che, spesso deve confrontarsi con un sano realismo (l’amaro del cioccolato che conclude la decorazione)».
Resta da capire che fine fa Enrico Letta in pasticceria.
«Kurtoskalacs. È un dolce ungherese, un cannolo verticale. La sua pasta non è croccante ma morbida e duttile, e la sua insolita posizione (il cannolo tradizionale è in orizzontale, come un proiettile che gonfia lo stomaco) illustra l’enigma. Sta fermo o si muove? È solo anima o anche cacciavite?».
Un dolce leghista, un dolce populista.
«Salvini è la torta di polenta. A Verona se ne fanno di buonissime. La collinetta dai declivi apparentemente morbidi, quindi zuccherosa. L’impasto di polenta addolcita e dentro, nel suo cuore nascosto, un po’ di arancia, o anche di cassata. La Lega è così. Prima il nord e poi nel nord ci infila il sud, le isole, quel che trova per strada, anche un po’ di fascistume. La polenta copre».
Renzi?
«Una miroir. Mousse pannosa, dunque a forte e precoce rischio di inacidimento, con una coltre riflettente, a specchio. Guarda come sono figo, e come sono forte. La potenza della vanagloria e anche la sua dannzione».
Sergio Mattarella.
«Il solito, tradizionale, onnipresente diplomatico. Dolce ben equilibrato tra sfoglia e crema e quel pizzico di rum. Non è che piaccia a molti, però è presente in ogni vassoio, in ogni casa. È un dolce pop di riserva, non la prima scelta, si mangia quando è finito il resto. Ma non può mancare. Se non c’è il diplomatico (a Napoli si chiama zuppetta inglese) il viaggio in pasticceria perde di senso».
Eccoci giunti a Giorgia Meloni.
«Avevo pensato al maritozzo romano ma penso che lei sia adeguatamente riassunta dal cannolo morbido. Spiego la ragione. La crosta di cioccolato, in apparenza solida, e dentro cioccolato bianco, nocciole, mandorle, canditi. A me la Meloni pare una donna più duttile che ferma nelle sue idee. Tiene al potere e l’ideologia la usa per coprire l’impasto variegato di cui si compone la sua anima. Il torrone morbido è proprio così. Duro all’apparenza, ma basta addentarlo e viene giù tutto».