la Repubblica, 6 settembre 2021
La storia della vedoba Clicquot, tra sciabole e champagne
“Sabrage” è un termine di origine francese. Deriva da sabre, sciabola, e indica una cerimonia: la particolare tecnica di apertura dello champagne, decisamente scenografica, che di solito vediamo nei film in cui degli ussari napoleonici misurano la loro virilità a colpi di decapitazioni di preziose bottiglie. La versione moderna del sabrage contempla addirittura l’ipotesi di uno smartphone al posto della spada, un’immagine così poco epica che noi preferiamo ricordare il rituale antico, con le vecchie eleganti sciabole. Leggenda vuole che sia stato Napoleone a introdurre quest’arte, decapitando la bottiglia con un colpo secco della sua spada e dicendo: “Champagne! Nella vittoria è un merito, nella sconfitta una necessità”. E, da comandante che aveva a cuore il morale delle truppe, pare lo facesse davvero: molti storici hanno confermato che anche dopo brucianti débâcle venivano prese a colpi di lama parecchie bottiglie. Lo champagne sciabolato da Napoleone e la sua brigata non era un vino a caso: a donarlo loro era Madame Barbe- Nicole Ponsardin, sposata Clicquot, poi rimasta vedova, una donna di cui in poch? conosciamo la storia, anche se tutt? troviamo familiare il nome. L’abbiamo letto decine di volte, impresso sulle bottiglie custodite tra gli scaffali più costosi dei supermercati, e magari lo abbiamo anche esclamato, quando a una cena speciale siamo arrivat? dicendo: “Ecco, ti ho portato la vedova!”.
Quella vedova ha attraversato la Rivoluzione Francese, l’Impero napoleonico, la Restaurazione e il Secondo Impero trasportando fino a noi le sue elegantissime bollicine e finendo sulle nostre tavole. Ci siamo ritrovat? molte volte a fissare il suo primo piano austero che troneggia inciso sulla capsula a protezione del tappo di ogni bottiglia, abbiamo giocato con quel ritratto, lo abbiamo piegato fra le nostre dita, senza sapere che quell’arcigna signora non si piegava a niente e a nessun?.
Quell’immagine a noi così familiare è presa da un dipinto fatto in tarda età, e mostra il volto privo di sorriso della Veuve Clicquot attorno al quale i boccoli incongruenti da bambola grinzita sono rigidi quanto la cuffietta bianca, unico tocco di luce che emerge dalle gramaglie con cui vestiva la sua vedovanza. A guardare quella tela, si potrebbe pensare che Madame Clicquot sia rimasta vedova tardi nella vita, ma è vero esattamente l’opposto: ha solo ventisette anni quando il marito muore in circostanze oscure, e il rigore dell’immagine che ancora vediamo riportata sulle bottiglie diventa per lei un’armatura con cui sfidare la società. Quel lutto ostentato e quella negazione di ogni ammiccamento non erano la perpetua rappresentazione dell’amore perduto, ma un travestimento che doveva renderla attraversabile dallo sguardo degli uomini, il suo personale mantello dell’invisibilità.
Se non mi vedono come donna, cioè come oggetto del desiderio – questo deve aver pensato in quella sua mente astuta –, probabilmente mi accetteranno come commerciante con cui trattare. Aveva ragione e aveva anche l’alcol giusto, con il quale i suoi interlocutori li ha poi ubriacati tutti, sotto ogni punto di vista.
Oggi molte grandi aziende vinicole di pregio sono dirette da donne, ma all’inizio dell’Ottocento il vino è ancora una faccenda da uomini. Le bollicine in particolare sono l’aristocrazia della vinificazione e nessuno si sogna di coinvolgere una donna nella produzione più pregiata dei nobili vitigni di Francia. La ragazza ventisettenne che di colpo si trova sola davanti alle viti del marito morto ha un’occasione d’oro: sovvertire le regole e diventare la prima donna a dirigere una Maison de Champagne, oltreché una delle più grandi imprenditrici e pioniere di sempre.
Questo percorso non certo lineare comincia in una bellissima casa di Reims che affaccia sulla place Royale con vista sulle torri di una delle cattedrali più importanti di Francia, quella dove per secoli sono stati incoronati i suoi re. È in quella culla privilegiata che nel 1777 nasce Barbe-Nicole Ponsardin, decisamente dalla parte comoda della storia. Non é una testa coronata (e tanto meglio, visto che presto molte cadranno sotto la lama impietosa della ghigliottina) ma è figlia dell’altissima borghesia. Il padre è il commerciante più ricco della città, fa il produttore tessile e, grazie alla sua posizione, ricopre anche un ruolo importante nella vita amministrativa e politica di Reims.
In quell’infanzia serena, con genitori premurosi e amorevoli, Barbe- Nicole cresce preoccupandosi solo di essere felice, ma nei giochi trascura le bambole e preferisce il mondo dei numeri. Non è una bambina leziosa e mostra curiosi interessi per lo spirito del tempo.
Si diverte con le addizioni e le moltiplicazioni dei libri contabili del padre, indovinando tra quelle cifre la fortuna della sua famiglia, e si ostina a volerle capire nell’illusione di poterne un giorno riprodurre la magia. L’altra sua passione sono i romanzi d’avventura, specialmente le storie di pirati alla conquista dei mari. Per il suo ventesimo compleanno chiederà al padre il regalo di portarla a conoscere il mare e lui esaudirà il desiderio con un piccolo viaggio in Normandia, dove Barbe- Nicole vedrà per la prima volta la distesa d’acqua che tante volte aveva sognato. L’istinto di questa ragazzina è predatorio. In un mondo sessista che prevede per le donne la funzione di selvaggina, lei s’immagina cacciatrice. A dieci anni scopre che con il termine “santabarbara” vengono chiamati i depositi di munizioni ed esplosivi a bordo delle navi: basta una scintilla e chi s’è visto s’è visto.
Tutt’oggi santa Barbara è la patrona di artificieri e vigili del fuoco, ma non è il prudente disinnesco che seduce Barbe-Nicole in quella identificazione. Cominciano le prime detonazioni della Rivoluzione Francese e lei, con spirito preveggente, chiede ai genitori di chiamarla solo Barbara (Barbe) e non Nicole, indossando già nel nome i fulmini della storia che verrà.