la Repubblica, 6 settembre 2021
Intervista a Ingrida Šimonyt
ROMA – Una nazione da meno di tre milioni di abitanti è diventata il baluardo contro le autocrazie: non solo le vicine Russia e Bielorussia, ma anche la più lontana Cina. Ex Repubblica sovietica, oggi membro Ue e Nato, la Lituania dà rifugio agli oppositori in fuga dalla repressione di Aleksandr Lukashenko e di Vladimir Putin e ha sfidato più volte il regime di Pechino. «Vorremmo che i nostri vicini orientali credessero nei diritti umani e nella libertà di parola, ma non solo non la pensano come noi, ma stanno ripristinando i metodi di settant’anni fa che per noi sono un ricordo ancora vivo. Io stessa, con i miei 46 anni, ho 15 anni di memoria dell’Urss. Quanto basta per dire “Mai più”», commenta a margine della sua visita in Italia Ingrida Šimonyt?, la premier a capo della coalizione liberal-conservatrice che si è insediata a Vilnius un anno fa.
Primo ministro, ha accusato Lukashenko di usare i migranti come “arma politica” per rappresaglia alle sanzioni Ue e all’asilo da voi dato a Tikhanovskaja e altri oppositori. Quali prove avete del coinvolgimento di Minsk nella nuova crisi migratoria?
«Prima che Lukashenko dirottasse il volo Ryanair Atene-Vilnius per arrestare Protasevich, benché avessimo relazioni bilaterali limitate, le nostre guardie di frontiera cooperavano. Dopo Lukashenko ha dichiarato che “avrebbe inondato la Ue di droga e migranti” e in un paio di giorni abbiamo visto il numero di accessi aumentare e gli agenti di frontiera smettere di cooperare.
Agenzie di viaggio vicine al regime collaborano con i tour operator dei Paesi di origine. E c’è stato persino il caso di agenti in divisa che hanno attraversato illegalmente la frontiera per spingere iracheni nel nostro territorio. Le prove sono numerose.
Ma quello che Minsk cerca di fare è sovvertire la storia. È così che funziona anche la propaganda russa.
Sostengono ad esempio che i Baltici volessero aderire all’Urss, cosa mai successa. E ora ci accusano di spingere i migranti in Bielorussia, quando sono loro che li mettono in pericolo per loro tornaconto».
Oltre a Tikhanovskaja, date asilo a Leonid Volkov, braccio destro di Navalnyj. Lei ha definito il North Stream 2 “un errore” e il vaccino Sputnik V “un’arma ibrida”. Come vivete la vicinanza con la Russia? Il 2014 vi ha messo in allarme?
«La trasformazione della Russia in un’Urss 2.0 è più veloce che mai. La narrazione ricorrente è la stessa che sentivo quand’ero una studentessa sovietica: l’idea di un grande Paese che ha vinto Hitler. Più che a livello interno, il 2014 è stato un campanello d’allarme per i nostri vicini. Fino ad allora etichettavano i Baltici come paranoici. Nutrivano l’illusione che i confini non venissero più ridisegnati nel 21° secolo, ma non è così».
Tutti gli oppositori russi sono in carcere o in esilio. La Ue può fare di più in vista delle parlamentari del 19 settembre?
«La repressione è diventata routine.
Una volta gli oppositori sono agenti stranieri, un’altra estremisti o terroristi. Non puoi ripetere lo stesso mantra a ogni folle legge approvata dalla Duma. Ma in questa routine, alcuni colleghi credono che, se le sanzioni non funzionano, dovremmo cambiare strategia. C’è stata l’idea di ripristinare incontri d’alto livello con la Russia, ma l’abbiamo fermata. Non puoi dare il segnale che certi comportamenti paghino».
Avete lasciato il formato 17+1 che riuniva Cina e 17 Paesi del Centro ed Est Europa. Avete riconosciuto il trattamento riservato da Pechino agli Uiguri come “genocidio” e aperto un ufficio di rappresentanza a Taiwan. Perché avete deciso di sfidare la Cina?
«Non vogliamo dimostrare nulla a nessuno. Prendiamo il 17+1, abbiamo solo valutato che non era molto vantaggioso e che avevamo due possibilità di trattare con la Cina. Il primo: a livello bilaterale, ma valido solo in una certa misura. Il secondo, più efficace su temi importanti: i 27 della Ue+1. E alcuni Paesi membri sono solidali con quest’approccio».
All’apertura dell’ufficio a Taiwan, la Cina ha risposto richiamando il suo ambasciatore a Vilnius ed espellendo il vostro. Non temete sanzioni economiche?
«Vorrei risolvere tutti i malintesi, quando ce ne sono, con il dialogo. Ma per nostra esperienza, ad esempio con Mosca e Minsk, sappiamo che in alcuni casi subisci sanzioni non dichiarate, come controlli doganali.
Spiace che alcuni Paesi utilizzino questi metodi. Ma non puoi abdicare ai tuoi principi per questo».