Corriere della Sera, 6 settembre 2021
Intervista a Daniele Garozzo
Daniele Garozzo, cosa è successo alla scherma italiana ai Giochi di Tokyo?
«Sono arrivato in Giappone in grande forma, con la presunzione di bissare l’oro di Rio nel fioretto. Dovevo vincere. Ma qualcosa non ha funzionato. Un virus intestinale mi ha buttato giù fisicamente due giorni prima della gara, ecco il perché dei crampi in finale. Quanto alla gara a squadre, tragedia. Non ci sono altre parole per definirla».
Cinque medaglie (3 argenti e 2 bronzi) sono state vissute come un grave insuccesso. Per colpa di chi?
«Federazione, c.t., noi atleti: ciascuno ha le sue colpe, nessuno escluso. Non abbiamo fatto il percorso che ci avrebbe portato all’oro: vincerlo sarebbe stato quasi un colpo di fortuna».
Addirittura?
«In quasi cinque anni di Coppa del Mondo, tra Rio e Tokyo, nel fioretto a squadre abbiamo vinto tre gare. Eppure non è scattato nessun campanello d’allarme, solo una grande frenesia. Tra noi atleti, con Foconi e Cassarà, ce lo dicevamo: in Giappone servirà un miracolo. Quello che è successo era prevedibile».
Dalla lettera tagliente con cui voi atleti avete sfiduciato Cipressa a fine Olimpiade, sembra attribuiate la responsabilità soprattutto al c.t.
«Mi fa male parlarne: era una bozza che non doveva uscire, noi atleti abbiamo fatto una bruttissima figura. Il c.t. ha la sua parte di colpe, è chiaro che è finito un percorso, lo sport va a cicli: chiediamo nuovi stimoli per continuare fino a Parigi 2024».
Con chi?
«La Federazione si è chiusa a riccio, è legittimo. Ho sentito mille nomi ma qui serve una persona d’esperienza, che abbia già vinto».
Per vincere il fioretto a squadre sarebbe servito un miracolo
Eppure nessun campanello d’allarme
Chiedete il ritorno di Stefano Cerioni, quindi.
«È il candidato ideale, io ci spero. Però è necessario che la Federazione abbia la volontà di investire su di lui. Altri nomi non li immagino. Aldo Montano per me è un mito ma per diventare c.t. servono tappe intermedie, perlomeno la gestione dell’Under 20».
Ma ci sono Under 20 da gestire?
«Questo, ecco, è il vero problema: dietro la generazione di atleti di Tokyo, a livello giovanile, c’è davvero poco e prendiamo tanti schiaffi. La Federazione se n’è resa conto? La vera sfida non è Parigi, dove saremo più o meno gli stessi, ma dopo, dal 2024 in poi. Se non si comincia a lavorare oggi, auguri».
Il suo argento di Tokyo è una medaglia vinta o un oro perso, Daniele?
«Un po’ di amaro in bocca ce l’ho ancora oggi, qui in vacanza a Tenerife con Alice (Volpi, ndr). Ciò non toglie che l’impresa sportiva resta. Poi io sono troppo autocritico, sincero, un pessimo comunicatore di me stesso: non riesco a far passare il senso delle cose. Sono dispiaciuto, anche per colpa mia, di come l’argento è stato raccontato. La Federscherma sulla comunicazione è molto indietro: a Tokyo abbiamo vinto cinque medaglie e ne siamo usciti da stra-perdenti».
La scherma ha un complesso di inferiorità rispetto al nuoto?
«Riflettevo su questo: ai Giochi ho vinto un oro e un argento, come Federica Pellegrini. Eppure chi è più considerato? Cosa devo fare di più per diventare un’icona dello sport italiano? È frustrante... A questo punto capisco gli atleti che partecipano ai reality: è l’unico modo di avere soddisfazioni personali. Prima della pandemia il buttafuori di un evento non voleva farmi entrare, non mi aveva riconosciuto; arriva Greg Paltrinieri e trova tutti i paparazzi schierati per lui. Eppure a Rio ho vinto un oro come lui... Una volta uno sponsor mi disse: sei troppo per bene, troppo educato. Così diventa difficile trovare motivazioni per andare avanti, lo faccio davvero solo per me stesso. A marzo mi laureo in medicina, esercitando guadagnerei di più. Potrei smettere oggi».
E invece arriverà fino a Parigi con la sua fidanzata Alice Volpi, Garozzo. E poi?
Ai Giochi ho vinto quanto la Pellegrini ma cosa devo fare per diventare un’icona dello sport?
«Anche Alice, che ha un talento pazzesco, nel 2024 deve rifarsi. Io dopo la laurea vorrei specializzarmi in radiologia interventistica: oggi studio nei ritagli di tempo ma quando entri in reparto ti inseriscono nei turni e ciao. Tecnico no, mai, però nella scherma mi piacerebbe restare come medico: è la mia vita».