Corriere della Sera, 6 settembre 2021
Intervista ad Alessandro Nesta
«Il Milan è da scudetto. Forse non parte favorito, ci sono squadre più forti, ma non è detto che sia un male, anzi. La verità è che quest’anno sono in molte a poter vincere. Una cosa è certa: la strada è quella giusta». Da Miami Beach, che ormai per lui è casa, Alessandro Nesta dice la sua sul campionato che è appena iniziato.
Com’è la serie A vista dalla Florida? Sono partiti Cristiano Ronaldo, Donnarumma, Lukaku, Hakimi.
«Il calcio italiano all’estero resta sempre amatissimo, ma è innegabile che abbia perso parecchi protagonisti con questa fuga di massa. È un danno d’immagine e tecnico. Penso alla crescita dei giovani, che maturano prima in un contesto tecnicamente più elevato. Ma così è: il calcio segue i soldi. E i soldi in questo momento non sono in Italia».
La speranza era che il successo all’Europeo fosse una vetrina: invece che arrivare, se ne sono andati.
«Succede da tempo. Una volta in serie A arrivavano i migliori ventenni, oggi i migliori trentacinquenni».
Dice che il Milan se la gioca per lo scudetto, ma ha perso Donnarumma e Calhanoglu.
«Non è più come una volta che andavi con i soldi e compravi il campione che volevi. Ora ci vuole intelligenza, buonsenso, prospettiva. Maldini ha fatto un gran lavoro».
L’addio di Gigio che effetto le ha fatto? Un tempo il Milan era una squadra di arrivo, non di passaggio.
«Il Milan oggi non può permettersi di tenere un portiere che chiede 12 milioni. Rispetto la sua scelta, è andato in una dimensione altissima. Certo, il Milan l’ha perso a zero: un peccato».
Tornano le notti di Champions, che lei conosce bene. Il girone è tremendo, ma dove può arrivare il Milan?
«Sarà una sorpresa, ne sono sicuro. Per storia il Milan ha sempre interpretato la Champions con una determinazione speciale».
E in serie A c’è una favorita?
«L’Inter ha perso tanto, ma ha comprato bene. È rimasta forte. E Simone Inzaghi è davvero bravo. La Juve deve dimostrare di saper reagire al trauma dell’addio di Cristiano».
Le romane?
«Attrezzate e interessanti. Uguale il Napoli, che ha Spalletti, ci sa fare. E poi c’è la solita Atalanta, una certezza».
Capitolo difensori. L’ha sorpresa la crescita di Tomori? Il Milan ha investito 28 milioni, non pochi.
«Ha una velocità pazzesca. E margini di crescita: può migliorare ancora».
Ha soffiato il posto a Romagnoli, che una volta veniva considerato il suo erede. Che gli succede?
Ci sono squadre più forti, ma non è detto che sia
un male, anzi. La verità è che quest’anno sono
in molte
a poter vincere
«Alessio deve tornare ai livelli di qualche tempo fa, può riuscirci. Non si resta al Milan sette anni se non si è ottimi giocatori».
La coppia di titolari però è Kjaer-Tomori. Due stranieri. La scuola italiana è in crisi?
«Sì, da tempo. I giovani devono darsi una mossa, basta con l’alibi degli stranieri. C’erano anche venti anni fa ed erano più forti di quelli di adesso. Però finivano in panchina perché gli italiani erano superiori. Oggi se smettono Chiellini e Bonucci chi gioca? C’è un buco generazionale e va riempito».
Stupito dalla vittoria dell’Europeo?
«Io a Wembley c’ero, è stato esaltantissimo. Ancora una volta siamo riusciti a trovare quel qualcosa in più nel momento chiave».
I meriti di Mancini?
«Enormi. Ha fatto ritrovare a questa squadra uno spirito e una compattezza vincenti. E ha dato una impronta tattica e di mentalità».
Lei vive in Florida. Com’è l’Italia da fuori, come Paese?
«Roma l’ho trovata un po’ in difficoltà, non così Milano, che diventa sempre più internazionale. L’Italia è bellissima. Ma io ho scelto l’America perché voglio dare un’opportunità ai miei figli, che ora vivono qua, ma potranno scegliere dove stare».
Dopo l’esonero di marzo a Frosinone, ora è fermo. Progetti?
«Sono stato in Italia lontano da casa per due anni, solo, senza famiglia. Mi mancava. Dovevo uscire dal frullatore. Questi mesi a casa a Miami mi hanno rigenerato. Ho studiato, mi sono guardato dentro. Mi ha fatto bene».
Qual è il suo calcio?
«Non amo le etichette, sono limitanti. A Perugia ero più giochista, a Frosinone più da battaglia. Forse sono più vicino come mentalità alla prima versione, ma la verità è che oggi devi essere in grado di giocare in tutti i modi».
Quali modelli ha?
«Credo che ognuno debba essere se stesso, ma Ancelotti e Zeman mi hanno insegnato tanto, tutto».
Ora è pronto per tornare?
«In estate qualcosa c’è stato, ma non era il momento. Ora però sì, sono pronto».