Corriere della Sera, 6 settembre 2021
Il caso Lewinsky in una serie
New York Ventitré anni dopo, la versione di Monica sta per arrivare sugli schermi americani. Un tuffo indietro in uno scandalo che paralizzò il Paese ma a ripensarlo adesso, nei giorni in cui si commemora il ventesimo anniversario dell’11 settembre, sembra quasi avvolto dalla nostalgia per un’epoca più semplice.
«Impeachment», che esce domani, è l’ultima serie del progetto American Crime Story e racconta l’affaire Clinton-Lewinsky e il tentativo fallito di incriminazione del presidente attraverso le donne che ne furono parte. Monica, prima di tutto, Linda Tripp, scomparsa l’anno scorso, l’amica che denunciò la relazione della giovane stagista con il presidente, Paula Jones, che lo accusò di molestie, e Hillary Clinton. Di tutte loro, però, solo Lewinsky è produttrice esecutiva dello show.
Non è stato facile per lei ripercorrere tutto: il vestito macchiato dello sperma del presidente lasciato in frigo, il tradimento dell’amica, i fotografi, le battute incessanti dei comici dei late night show. Oggi Lewinsky, dopo anni sbandati tra una linea di borse e un tentativo di una nuova vita all’estero, ha trovato la sua strada come attivista contro il bullismo ed è presente con ironia sui social, ma non tutte le ferite sembrano rimarginate. Quando ha dovuto guardare la serie l’ha fatto con un terapeuta, e aveva una sessione con lui anche la sera della prima, racconta il New York Times. Ma ha deciso di partecipare al progetto perché «una cosa del genere non accada mai più a un’altra persona così giovane».
Il terapeuta
Per Monica non è stato facile ripercorrere tutto, per questo ha visto la serie con un terapeuta
Monica aveva 22 anni quando cominciò la relazione, 25 quando scoppiò lo scandalo e per mesi fu stritolata dai media: lei era ovunque ma non aveva voce. Non poteva raccontare la sua versione dei fatti, per ragioni legali le era stato consigliato di non parlare con nessuno, nemmeno con gli amici.
Il #metoo era lontano anni luce, gli schieramenti erano ribaltati rispetto a quelli che avremmo visto in campo oltre vent’anni dopo. I repubblicani massacravano Clinton: Lewinsky era l’escamotage per provare a liberarsi di un presidente estremamente popolare. Molti democratici e anche tante femministe la consideravano un’arrampicatrice o una stalker, pronta a ricattare il loro portabandiera, uno strumento nelle mani della «grande cospirazione di destra».
«That woman», l’aveva definita il presidente negando la loro relazione e mentendo in tv all’intera nazione. Clinton – all’epoca 49enne, 27 anni più grande di lei – a «quella donna», che pure ha sempre difeso il rapporto come consensuale, non ha mai chiesto scusa per le umiliazioni e il tradimento: «Alla fine di tutto, due terzi degli americani era ancora dalla mia parte».
Ma il mondo è cambiato nel frattempo, e ora tanti progressisti che all’epoca furono spietati contro la «stagista» fanno ammenda. Al punto che qualcuno si chiede se nel rileggere la storia non ci si stia dimenticando di Hillary. «Credo che i media negli anni Novanta trattarono male sia Hillary sia Monica. Complimentarsi con Monica non è un modo per sminuire Hilary. C’è abbastanza empatia nel mondo per tutti noi», ha scritto su Twitter Molly Jong-Fast, che ha appena pubblicato su Vogue un pezzo intitolato We All Owe Monica Lewinsky an Apology. Dobbiamo tutti delle scuse a Monica, che allora fu «un test Rorschach della nostra misoginia».