Corriere della Sera, 6 settembre 2021
Cosa accadde prima dell’11 settembre
«Bisogna parlare con Ussama stasera. Che ne pensa lo sceicco Ussama?». Tornate indietro. Prima dell’ultimo spartiacque della Storia contemporanea. Prima dell’11 settembre 2001. Lasciate da parte per un momento l’attacco alle Torri gemelle. Gli anni prima. I mesi prima. Provate a focalizzare quel periodo. Quando la minaccia islamista non compariva nel dibattito pubblico internazionale, non era tema di geopolitica, non alimentava paure collettive, non era in testa all’agenda di alcun Paese europeo. Eppure la marea torbida della violenza globale, nel globale disinteresse, si gonfiava, progettava distruzione. Con espressione forse paradossale: Al Qaeda prima di Al Qaeda. Ecco, quando quasi nessuno aveva sentito parlare della «base» dello sceicco saudita, un manipolo di uomini, poliziotti, carabinieri e agenti dell’intelligence, studiava e annotava lo sviluppo di quelle trame di prossima devastazione.
Lo facevano negli uffici e nelle «salette intercettazioni» delle Digos di Torino e di Milano. Attraverso interpreti decifravano frasi d’odio contro l’Occidente, mese dopo mese percepivano il rischio incombente, tracciavano il profilo di un nemico inedito, per chi aveva passato anni a lavorare sul terrorismo «interno». Siamo andati ad ascoltare le loro voci: lo abbiamo fatto oggi perché, dopo un ventennio, possono rivelare i retroscena della caccia, il paziente riconoscimento della minaccia. Come il poliziotto della Digos di Milano, oggi in pensione, che nei nastri sentiva citare quel nome allora «non identificato», Ussama: «Qualche mese dopo abbiamo capito a chi si riferivano le persone che stavamo intercettando, Osama bin Laden».
Le voci di quegli uomini sono vita vissuta e cronaca, pedinamenti nelle case popolari di Milano e nei parchi di Torino, di cui oggi resta traccia solo nella loro memoria, o in annotazioni ingiallite. Ma parlano anche della Storia in divenire, la più attuale, fino al ritiro dall’Afghanistan: che è la fine di quella guerra iniziata vent’anni fa, diretta conseguenza dell’11 Settembre. E allora quelle testimonianza inedite sono l’anello iniziale di una catena non ancora interrotta, che continua a condizionare la politica degli Stati di mezzo mondo. Quelle voci il Corriere le ha cercate e raccolte nel progetto «Tracce, 100 anni di terroristi», podcast in dieci puntate che scandaglia un secolo di trame e di massacri politici e ideologici. Racconti come quello dell’attuale questore di Milano, Giuseppe Petronzi, che dagli Anni Novanta ha firmato la storia delle indagini sul terrorismo in Italia come funzionario e poi dirigente della Digos di Torino, e che poi con il collega Bruno Megale di Milano (oggi questore a Reggio Calabria) venne inviato a Guantanamo per parlare con i soldati dell’islamismo combattente catturati dagli americani nelle valli afghane: «Ho ritrovato in quel luogo persone per lo più giovani, che a Torino erano inserite, avevano famiglie, si spostavano con documenti che avevano ottenuto dopo anni di duro lavoro e che alla fine avevano usato per fare il viaggio verso i campi di addestramento». Le scuole di terrorismo: proprio nell’Afghanistan dei Talebani, oggi appena tornati al potere, e all’epoca regime/culla di Al Qaeda. Voci di dirigenti che oggi occupano ancora posti di grande rilievo nelle gerarchie della Polizia, ma anche racconti di poliziotti che sono andati in pensione dopo quarant’anni di servizio silenzioso e tenace per lo Stato, come Raffaele Magnotta e Michele Centonze, ex Digos di Milano: «All’inizio non avevamo interpreti, la minaccia era del tutto inedita e sconosciuta, il profilo dei gruppi terroristici si costruiva giorno dopo giorno». Fino a rendersi conto che «la moschea di Milano, al di là dei tanti fedeli che andavano solo a pregare, era una testa di ponte dei movimenti terroristici in Europa, in contatto con i più alti “generali” dell’islamismo a Vienna e a Copenhagen. Pedinarli era complicatissimo e per intercettarli arrivammo a calare microspie nelle grondaie o installare “cimici” in uno scaldabagno».
Il racconto delle trame inedite del pre-11 Settembre in Italia diventa una sorta di pendolo in continuo movimento, dove ogni particolare di un’indagine locale in un quartiere di periferia del Nord Italia rimbalza subito sullo scenario internazionale, grazie alle conoscenze di Guido Olimpio (che ha scritto il podcast con la collega del Corriere Alessandra Coppola) e che per la prima volta ha aperto il suo archivio. Storie che impartiscono una lezione: «I terroristi non spuntano dal nulla, non saltano fuori all’improvviso da una grotta, ma come e soprattutto per l’11 Settembre, hanno alle spalle una lunga biografia di indottrinamento, programmazione, preparazione militare e tecnica». Perché sempre, per cento anni è accaduto, prima di attaccare i terroristi lasciano piccole o grandi tracce.