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 2021  settembre 05 Domenica calendario

Aldo Cazzullo su "Il posto degli uomini. Dante in Purgatorio, dove andremo tutti" (Mondadori)

I nostri nemici finiranno all’Inferno; le nostre mamme in Paradiso; ma a noi un po’ di Purgatorio non lo leva nessuno. Dante stesso pensava di finire da morto in Purgatorio, tra i superbi.


Il Purgatorio è il luogo del «quasi», dell’attesa della felicità; che è in sé una forma di felicità. È un mondo di nostalgia ma anche di sollievo, di rimpianto ma pure di consolazione. È una terra di frontiera tra l’uomo e Dio. Ha il fascino di una città di confine.


Eppure — per quanto sembri incredibile — il luogo in cui finiremo quasi tutti, il posto degli uomini, appunto il Purgatorio, prima di Dante non esisteva. Dante lo inventò; e questo muoversi nel vuoto e nel nulla esaltò al massimo grado la sua arte e la sua fantasia.


Certo, i padri della Chiesa si erano chiesti dove sarebbe andata la maggioranza degli esseri umani; che non è cattiva, bensì egoista. I cattivi esistono, e tra loro anche i sadici, che godono del male ingiusto arrecato ad altri; e finiranno all’Inferno. Poi ci sono i santi, i buoni, i giusti, destinati al Paradiso; ma, a giudicare da quel che vediamo qui sulla terra, sono anche loro una minoranza. In mezzo c’è l’umanità. Ci sono le donne e gli uomini in balìa della quotidianità e della storia, legati ai propri cari e intimoriti dai propri avversari, attenti ai propri interessi ma capaci anche di altruismo, soprattutto se li fa sentire migliori. Ecco perché, sorridendo ma non troppo, pensiamo che il Purgatorio ci attende.


Eppure la sua esistenza venne stabilita dalla Chiesa soltanto nel 1274, quando Dante aveva nove anni. Quindi il Purgatorio c’era già, sia pure da pochissimo; ma nessuno sapeva com’era fatto, e neanche dove fosse. Dante lo pensa come una montagna, che si innalza sino al cielo della Luna. Sorge dall’oceano australe, agli antipodi di Gerusalemme, e in cima ha il giardino dell’Eden, simbolo dell’innocenza; dove le anime torneranno, dopo essersi purificate nell’ascesa. E il Purgatorio non è un Inferno alleggerito; è il contrario dell’Inferno.


Non ci sono le tenebre; splende il sole. Non ci sono diavoli torturatori; volano gli angeli. Non si scende; si sale. Non si sentono lamenti, gemiti, bestemmie, ma canti, salmi, melodie. E se i dannati chiedevano al poeta di essere ricordati, perché la fama era l’unico modo per non morire del tutto, qui le anime chiedono che si preghi per loro, affinché possano conquistare la vita eterna. I morti non sono morti per sempre, restano in rapporto con i vivi; e noi possiamo fare molto per le persone care che ci hanno lasciati.


Il Purgatorio è il mondo dei colori: l’Inferno è buio, il Paradiso luminoso; il Purgatorio è sempre cangiante. All’Inferno (come in Paradiso) il tempo non esiste. In Purgatorio sì. Il sole è lo stesso che illumina la Terra. Si avvicendano l’alba, il mezzogiorno, il tramonto. Qui il tempo scorre, parallelo alla storia, in attesa dell’ultimo giorno. Ma nel Purgatorio il tempo — a differenza che sulla Terra — non avvicina alla morte, bensì alla salvezza.


A questo punto, cari lettori, credo di sapere quale pensiero vi attraversi la mente. Lo stesso che coltivavo io riprendendo in mano, dopo tanti anni, il Purgatorio di Dante. Cieli azzurrini, «soave vento», pecorelle «timidette», colombi «queti», capre mansuete, anime pacificate… Dove sono le storie maledette dell’Inferno? Dove Paolo e Francesca, Ulisse, il conte Ugolino? Non è che il Purgatorio rischia di rivelarsi noioso? Vi assicuro che è vero il contrario. Il Purgatorio è meraviglioso. Non a caso molti appassionati di Dante sono convinti che sia la cantica più bella. Mentre l’Inferno si fa sempre più cupo man mano che si scende, il Purgatorio cambia di continuo. È imprevedibile, come una giornata di temporali e arcobaleni: in bilico tra la tragedia e il lieto fine, a volte annunciato da sogni premonitori. Dante usa tutti i registri, il drammatico e il comico, il lirismo e l’ironia. Ci sorprende e ci avvince. Perché i personaggi che incontra sono pur sempre peccatori. E tra loro ci sono gli uomini più potenti del tempo, come Manfredi — «biondo era e bello e di gentile aspetto…» —, gli artisti più grandi, come Guinizzelli, e figure femminili indimenticabili, come Pia de’ Tolomei. Oltre a Beatrice, che Dante ritroverà nell’Eden — «conosco i segni de l’antica fiamma» —, più bella ancora di come la ricordava.


Ed è nel Purgatorio la celebre invettiva civile, che infiammerà generazioni di nostri antenati: «Ahi, serva Italia, di dolore ostello/ nave sanza nocchiere in gran tempesta/ non donna di province, ma bordello…». Sono versi di un’attualità straordinaria. Citati, in ogni secolo, da italiani che, ogni volta, trovavano nel loro presente conferme a quella che pareva quasi una maledizione scagliata da Dante sui compatrioti. Eppure le sue parole amare mascherano un profondo amore, e una grande speranza.