Tuttolibri, 4 settembre 2021
Il Paradiso è per i biondi
«Però, secondo il color d’i capelli / di cotal grazia l’altissimo lume / degnamente convien che s’incappelli». È il Sommo Poeta – cui, nell’arco di quest’anno peculiare, non smettiamo di riferici – a introdurci nel nuovo lavoro di Virtus Zallot, docente di Storia dell’arte medievale e di Pedagogia e didattica dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Brescia, studiosa di iconografia sacra: Sulle teste nel Medioevo. Storie e immagini di capelli. Siamo nel XXXII del Paradiso, vv. 67-69. Bernardo di Clairvaux spiega a Dante il motivo per cui i bambini presenti nella Rosa godano di gradi diversi di beatitudine. Ciascuno è dotato di aureola («incappellato») – afferma questi – nella misura in cui diverso era stato il colore assegnato da Dio ai suoi capelli al momento della nascita. Un’allusione, forse, a Esaù e Giacobbe (Gen 25, 25) – l’uno di pelo rosso; l’altro bruno -: episodio ripreso da Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani in relazione al tema della grazia, la quale non dipenderebbe dalle cose umane ma dalla volontà divina (Rom 9, 10-13). Al tempo del Poeta, in quel Medioevo denso di simboli e allegorie, non si trattava di particolari di poco conto. La varietà cromatica della capigliatura individuava differenze importanti, previste dal piano divino e, pertanto, capaci di rivelare vita e destino dei rispettivi portatori.
Zallot ci ha abituati a guardare all’essere umano dalla testa ai piedi. Dopo il suo Con i piedi nel Medioevo. Gesti e calzature nell’arte e nell’immaginario, edito sempre dal Mulino nel 2018, l’attenzione si sposta, ora, sull’estremità opposta, apparentemente più nobile: il capo. E, naturalmente, su ciò che su di esso sorge (o dovrebbe sorgere): i capelli, offrendoci un viaggio tra le abitudini, i gusti e le convenzioni sociali d’un Medioevo che guardava loro – in fine dei conti, non poi così diversamente da noi – come a un elemento identitario, portatore di significati. Non si tratta soltanto di scandire le tappe della vita («movesi il vecchierel canuto et biancho»…). I capelli – nota la studiosa – si mostrano, si nascondono, si tagliano – per punizione o per scelta (talvolta, religiosa) -, si acconciano, si colorano. I capelli coprono eventuali nudità: basti pensare alla Venere di Botticelli, che ne trattiene le estremità con la mano sinistra per coprire il sesso, o alla vicenda di Lady Godiva, vissuta tra IX e X secolo, celebre per aver accettato la sfida del marito: cavalcare nuda in cambio d’una consistente riduzione delle tasse per la cittadinanza (un modo semplice ed efficace per divenire una perfetta eroina ottocentesca). Altro che «parti superflue del corpo», come affermava sant’Ambrogio: «nella realtà e nell’immaginario medievali», i capelli «dichiaravano appartenenza o alterità, distinguendo il povero dal ricco, il vicino dallo straniero, il laico dal chierico, la donna onesta dalla dissoluta, la vergine dalla maritata, il vanitoso dall’umile. Connotavano il penitente, il viaggiatore, il disperato, lo spaventato, l’iracondo», e così via.
Zallot conduce il lettore in una selva di citazioni letterarie e riferimenti storico-artistici, mostrando come l’agire sui capelli non fosse mai innocente, producendo significato. Il loro taglio era gesto d’umiliazione o di passaggio di stato. O, ancora, memoria del proprio essere. Si pensi, ad esempio, alle ciocche donate dalle fanciulle al cavaliere di turno. Per non parlare di quelle della Vergine: dono sublime all’umanità. Messina, ad esempio, ne ospitava una parte importante, con cui Maria avrebbe legato la famosa Lettera consegnata ai delegati della città. E così molti altri borghi e città. Ma non è tutto: i capelli parlano, a partire dal colore. Dal bruno al bianco, passando per il rosso – non necessariamente connotante, come solitamente ritenuto; certo, affatto attributo del solo Giuda, come sostenuto da Michel Pastourau in un libro giustamente celebre -, il nero – raro in Europa e per questo notato e sottolineato da quegli europei decisi a spingersi nelle plaghe orientali, Polo compresi -, il biondo – anch’esso raro, simbolo di grazia e regalità. Come dimenticare, a questo proposito «i capei d’oro e crespi» cantati dal Boccaccio, i quali «un lume fanno», o le «trezze bionde / de le qual riluciéno / d’aureo color li poggi d’ogni intorno» di cui tratta Cino da Pistoia. E si potrebbe continuare.
Impreziosito da una prefazione di Alessandro Vanoli, Sulle teste nel Medioevo è una lettura piacevole e documentatissima, frutto d’una ricerca a trecentosessanta gradi, rivolta a tutti coloro che del Medioevo vogliano conoscere non solo e non tanto date, battaglie e cicli economici bensì le convenzioni del vivere sociale: strumento quanto mai essenziale per penetrarne il vissuto.