Robinson, 4 settembre 2021
Il Novecento attraverso il grande schermo
I film sono un formidabile strumento di conoscenza storica. Non solo per quel che dicono sul passato, spesso documentato rigorosamente, ma soprattutto per quel che dicono sul tempo storico in cui vengono girati: sui gesti, le idee, le sensibilità, le strutture sociali della stagione in cui opera il regista. E poi c’è un terzo aspetto, il più importante, su cui si fonda la proposta metodologica avanzata da Giovanni De Luna, storico da sempre attento alle fonti audiovisive della didattica storica: il cinema come “agente di storia”, ispiratore di comportamenti e di abitudini sui quali il pubblico è indotto a plasmare la propria quotidianità.
Cinema Italia è il racconto del nostro Novecento dove sono i film a fare la storia, talvolta ad anticiparla, e non la storia a riflettersi nei film. E questo può accadere indipendentemente dalle qualità artistiche della regia. Perché se è impossibile immaginare la ricostruzione postbellica senza Rossellini e De Sica, il boom senza Il Sorpasso di Dino Risi, la generazione del Sessantotto senza I pugni in tasca di Marco Bellocchio, l’Italia delle disillusioni senza le invenzioni dissacranti di Mario Monicelli, è altrettanto difficile separare la Milano da bere – e la mitografia dell’eterno benessere – dai cinepanettoni ambientati a Cortina o sul Nilo. Spesso la distanza tra padri e figli – paradigmatico è il caso dei De Sica o dei Vanzina – è la siderale distanza che passa tra la dimensione epica di una comunità ferita alle prese con la ricostruzione e un’Italia mossa da sentimenti più piccini, un “Paese alle vongole” – secondo il celebre epiteto azionista – ossessionato dall’apparire e dall’urgenza di addobbare al meglio il proprio metro quadro. E i film sguaiati delle vacanze – sembra suggerire De Luna – sono stati quelli più capaci di rimodellare i sogni degli italiani nella stagione dello sperpero.
Ad aprire il racconto novecentesco è Cabiria, il kolossal scritto da D’Annunzio che attraverso la titanica lotta tra Roma e Cartagine evoca l’atmosfera estrema del nascente XX secolo, con l’ingresso nella scena pubblica delle grandi masse, il gusto dell’eccesso, il mito imperialista che di lì a poco avrebbe trascinato il Paese nella Grande Guerra. Il cinema anticipa gli eventi e forgia l’immaginario della collettività: nel ventennio nero il paesaggio mentale degli italiani sarebbe stato disegnato dal genere dei “telefoni bianchi”, con gli appartamenti sontuosi, gli ometti baffuti in smoking e le dame allungate sul letto con le sete svolazzanti fino alla caviglia: una cristallizzazione della società borghese che a dispetto della sua illusorietà – stavamo precipitando nel baratro della guerra – sarebbe sopravvissuta più a lungo del mito maschio del fascismo. Oltre che a costruire le architetture dell’immaginario, il cinema è servito anche a mostrare i luoghi geografici d’un’Italia sconosciuta ai più: nel dopoguerra, soprattutto il neorealismo portò la cinepresa lungo la penisola, dai castelli piemontesi alle rovine classiche della Magna Grecia, che molti italiani videro per la prima volta nelle sale.
Lo sguardo dello storico arriva là dove il critico necessariamente si ferma. E le pagine più interessanti di Cinema Italia sono quelle in cui lo studioso ammette i limiti della propria disciplina rispetto alle intuizioni dell’artista. Il 1991 fu un anno spartiacque nel dibattito storiografico grazie all’uscita del libro di Claudio Pavone che per la prima volta – in riferimento all’infuocato biennio 1943-’45 – legittimò da sinistra la nozione di guerra civile. Ma già nell’82 La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani aveva messo in scena in un campo di grano l’essenza più profonda della guerra fratricida, che è la tragedia di riconoscersi tra eguali e dover ricorrere alla ferocia contro chi fino a quel momento aveva condiviso il tuo spazio quotidiano. Un altro caso esemplare di cinema che anticipa non solo la temperie ma gli stessi accadimenti storici è il film di Daniele Luchetti Il portaborse, nel quale Nanni Moretti incarna una casse politica in disfacimento. Un anno dopo sarebbe stato arrestato Mario Chiesa. E con Tangentopoli si sarebbe chiusa l’era dei partiti.
Da Pontecorvo a Giordana, da Fellini a Martone, da Pasolini a Scola, sono innumerevoli i registi che hanno contribuito a fare gli italiani. Cinema Italia è un libro che dovrebbe stare in ogni scuola, da consigliare a chi ama la storia e a chi si ostina a insegnarla ai più giovani. Poi, chissà, forse si potrà anche raccontare il XXI secolo attraverso le serie tv. Ma questa è davvero un’altra storia, ancora tutta da scrivere.