la Repubblica, 5 settembre 2021
Il lato oscuro dell’evacuazione americana
NEW YORK – Negli ultimi giorni di agosto voli privati non autorizzati sono entrati e usciti dall’aeroporto Hamid Karzai di Kabul senza controlli. Come quelli gestiti da Erik Prince: il fondatore della società di contractor Blackwater che ha portato fuori dal Paese chiunque pagasse 6500 dollari a passaggio. Non basta: i badge elettronici inviati dagli americani agli afghani titolati a lasciare il Paese per passare i checkpoint dei talebani sono stati ampiamente condivisi con amici e parenti: mandando in tilt i controlli. Ancora, i voli militari dell’esercito sono spesso partiti con liste passeggeri incomplete o inesistenti. Centinaia di minori sono stati evacuati da soli. E migliaia di profughi sono finiti in hangar e tendopoli dalle precarie condizioni igienico-sanitarie dove sono tuttora stipati.
L’evacuazione di Kabul non è stata insomma il «successo straordinario» descritto dal presidente Joe Biden nel discorso del 31 agosto, dove celebrava la fine della presenza americana in Afghanistan. Lo rivela una lunga inchiesta del New York Times, basata sui rapporti spediti a Washington da diplomatici e militari.
“Documenti riservati”, sì, ma non secretati e dunque accessibili, rivelano i lati oscuri dell’operazione: non solo i controlli di sicurezza inesistenti, ma anche il fatto che fuori dal loro Paese tantissimi profughi non hanno affatto trovato l’America. Ma condizioni (almeno temporaneamente) infernali. Come quelle della base di Al Udeid, sede del 379esimo battaglione aeronautico, e del vicino campo As Sayliyah, in Qatar. Dove la situazione igienica è stata in alcuni momenti talmente disastrosa da far presagire ai vertici militari un’imminente catastrofe sanitaria: «Feci, vomito e topi sono ormai ovunque», si legge nei rapporti, che chiedono al più presto almeno l’invio di gabinetti chimici. In queste condizioni – segnalano ancora i documenti – ci sono «tantissime donne incinte bisognose di cure mediche». E pure 229 minori – alcuni piccolissimi – arrivati soli e abbandonati a sé stessi: bullizzati dai compagni adolescenti che gli sottraggono cibo e abiti. La precarietà della situazione provoca tensioni costanti, «infiammate da qualunque pretesto». I più indisciplinati sono «maschi single e fra loro numerosi ex militari». Arrivati con le loro armi «che siamo stati costretti a confiscare».
A discutere della sorte di quei disperati ci penserà, la settimana prossima, il segretario di Stato Antony Blinken, atteso in Qatar e Germania. Ma gli Stati Uniti l’hanno già detto chiaro: accoglieranno solo 50mila afghani. Di questi, 24 mila sono già in America, alloggiati per ora, in basi militari in Virginia, Wisconsin, Texas, New Jersey e Indiana. Molti sono arrivati senza visto e sono sottoposti a una sorta di “libertà vigilata” in attesa di valutare le loro situazioni. Il dipartimento di Stato sta preparando per loro un programma: valido però appena 90 giorni, durante i quali riceveranno “una tantum” uno stipendio di 1250 dollari. Ma niente accesso ai servizi medici, di consulenza e reinsediamento, solitamente a disposizione dei rifugiati. Per ottenerli servirebbero milioni di dollari: e su quei soldi già si profila una battaglia al Congresso.
Intanto, racconta il New York Post, fra i rifugiati approdati in America ci sono situazioni che mettono in imbarazzo i funzionari: spose bambine arrivate con uomini molto più grandi e casi di poligamia. Mancano le linee-guida per affrontare situazioni simili e urgono risposte: i problemi dell’evacuazione, per ora, si sono solo spostati altrove.