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 2021  settembre 05 Domenica calendario

Una satira dei vizi e vezzi dei mestieri del cinema

Felix Rivero è uno che ce l’ha fatta. Egocentrico e sciupafemmine, vanesio e capriccioso, è l’emblema dell’uomo e della star hollywoodiana che non deve chiedere mai. «Ho tirato fuori il peggio di me, senza timori. Ma io non sono così, se mi somigliasse davvero non lo avrei fatto», ammette ridendo Antonio Banderas che gli presta volto e boria in Competencia oficial, la commedia (uscirà con Lucky Red) con cui gli argentini Gastón Duprat & Mariano Cohn con il cosceneggiatore Andrés Duprat tornano in concorso dopo Il cittadino illustre per cui Oscar Martinez vinse la Coppa Volpi. Qui è Iván Torres, grande attore di teatro mai sceso a compromessi. A metterli uno contro l’altro, ego contro ego, è Lola Cuevas (Pénelope Cruz), regista e artista d’avanguardia, a cui un miliardario offre budget sostanzioso e carta bianca del film destinato a farlo passare alla storia come grande mecenate. Criniera di capelli crespi, idee granitiche, una vera tiranna.
«Una donna piena di talento e intelligenza da una parte ma anche una selvaggia psicopatica senza filtri, un’egocentrica che non si preoccupa di piacere agli altri – racconta l’attrice qui a Venezia 78 in gara contro se stessa per la coppa Volpi pr Madres paralelas —. Non vorrei assomigliarle. È una persona sola, nessuno la sopporta. Mi sono divertita nei suoi panni».
Un invito a nozze per tutti, attori e autori, una satira dei vizi e vezzi dei mestieri del cinema. «Ridiamo in primo luogo del nostro, di noi attori, con grande rispetto e grande libertà», dice Cruz. A lei, Lola, il compito scatenare gli istinti peggiori dei suoi due protagonisti. Un training micidiale per farli entrare nella parte, uno l’alter ego dell’altro: sfide di parolacce, avviluppati insieme con il domopak, obbligati a ripetere fino allo sfinimento le battute più elementari. Non gli risparmia neanche la dimostrazione della loro inettitudine artistica come seduttori.
Era da tempo che Cohn e i Duprat volevano lavorare con Penélope Cruz e Antonio Banderas. Grandi amici, colonne della famiglia Almodóvar che li ha voluti insieme in Dolor y gloria (uno come suo alter ego regista, l’altra come sua madre). Un intero film insieme, però, non era ancora capitato. La preparazione è stata lunga, hanno tutti pescato da esperienze vissute sui set.
Cronaca vera, come l’attore che prima di ogni scena (lo fa Felix nel film) fa una specie di verso da mucca per sciogliere la voce. Banderas si diverte a citarlo: «Muuuuuaaaa. Mi è capitato, non vi dirò chi è. La prima volta ho pensato che fosse davvero una mucca, poi gli ho fatto notare che magari per lui era utile ma per gli altri dannoso». Anche Cruz cita vita vissuta. «A volte servono cose estreme per calarsi nei personaggi. Quando ho fatto Non ti muovere ho passato settimane senza depilarmi e con i denti neri, giravo per Roma così con Margaret Mazzantini per prepararmi. I miei erano preoccupati, pensavano stessi impazzendo». Banderas regala un’ode alla forza della commedia. «È importante che il cinema ci aiuti a ridere, è qualcosa di sovversivo di questi tempi politicamente corretti. Il film è come una lente di ingrandimento per analizzare invidia, rivalità, narcisismo. Quello intellettuale del personaggio di Oscar è anche più insidioso». Poi non resiste. «Sapete che più parlo, più mi sembra di essere nel film? Anzi chiedo ai registi, perché mi avete messo al lato estremo del tavolo e a loro due al centro? Ecco, dovremmo fare un sequel, anche con voi giornalisti. Allora sì, ci sarebbe da divertirsi».