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 2021  settembre 05 Domenica calendario

Le donne di Kabul prese a bastonate

Islamabad «Non ci metteranno la museruola. Non ci chiuderanno in casa. Non siamo più le donne afghane di vent’anni fa». Lo gridano forte le giovani donne (e alcune anche meno giovani) che ieri hanno cercato di marciare verso il palazzo presidenziale di Kabul. Una sessantina, ma unite e organizzate. I social e le emittenti locali le hanno riprese mentre sorridevano ai passanti, brandivano i loro cartelli. Per lo più col velo tradizionale sulla testa. Nessuna però col viso e coperto e certo non con il Burqa.
«I talebani ci aspettavano. Si erano preparati sin da venerdì. Hanno mandato la “Badri”, la brigata delle loro truppe scelte migliori. Dovevano disperderci rapidamente. Ma non ci sono riusciti. E hanno dovuto usare la forza», ci spiega per telefono una delle loro leader, Fawzia Wahdat, giovane attivista che non ha paura di postare in rete il suo viso con le dita della mano destra in segno di «v» e la determinazione a lottare. È figlia del nuovo Afghanistan: giornalista, è stata tra i giudici della Commissione elettorale incaricata di vagliare eventuali brogli. E da poco ha ottenuto la laurea in Legge: un curriculum di studi che senza dubbio la rafforza nella sua battaglia per la difesa dei diritti civili.
I filmati delle donne attaccate dai talebani a bastonate, con i lacrimogeni e gas urticanti, ieri verso mezzogiorno hanno fatto il giro del mondo. Si vedono loro che gridano i loro slogan. «Libertà. Libertà. Le donne devono poter essere anche ministre e avere ruoli di responsabilità. Non potrete costringersi a tacere», ripetevano. Una di loro è stata poi fotografata ferita, col sangue alla testa. Tante altre sono state spintonate. Tossivano e lacrimavano vistosamente, cercando di ripararsi naso e bocca con gli scialli.
Abbiamo cominciato e non intendiamo fermarci Marceremo ogni giorno, faremo presidi Vogliamo dire agli afghani che non è più il momento di subire senza reagire»
Un’altra manifestante, la 26enne Razia Barakzai ha raccontato che i talebani le hanno «circondate» nei pressi del ministero delle Finanze, ancora lontane dal palazzo presidenziale. «Ci hanno fermate con la violenza, anche se la nostra manifestazione era del tutto pacifica», dice. Il loro movimento sta crescendo di giorno in giorno. Ieri manifestazioni analoghe si sono tenute a Herat e nella provincia di Nimroz.
«Abbiamo cominciato e non intendiamo fermarci. Cercheremo di mobilitarci ogni giorno, o comunque almeno un paio di volte la settimana, faremo presidi, senza tregua, in più località contemporaneamente. Vogliamo far sapere agli afghani che non è più il momento di subire senza reagire e cerchiamo la solidarietà internazionale. Tante tra noi sono pronte a mettersi in gioco, anche a pagare con la vita», aggiunge Fawzia.
Al suo fianco c’erano anche alcuni uomini ieri mattina. Cittadini comuni, passanti, che volevano marciare solidali con le donne. Ma sono stati picchiati duramente. «A noi hanno spruzzato il gas negli occhi. Ma il ragazzo giovane che stava con me l’hanno manganellato duro. Un poliziotto gli ha strappato il cartello che brandiva e lo ha ridotto a brandelli», spiega ancora.
La città che ha visto nascere e crescere queste ragazze sta già cambiando. I talebani cancellano i cartelloni pubblicitari con le immagini di donne, tante hanno accettato di coprirsi per evitare problemi. Alcune non vanno più sole nei luoghi pubblici, ma sempre accompagnate con un uomo maggiorenne di famiglia. Proprio questo temono le manifestanti: la lenta, inesorabile rassegnazione alla sharia, la legge religiosa, secondo l’interpretazione oscurantista talebana. E promettono che domani torneranno in piazza, magari con in tasca gli spicchi di limone da spruzzare sui fazzoletti per proteggersi dai gas.