Corriere della Sera, 5 settembre 2021
Intervista a Letizia Moratti
«La pandemia deve insegnarci che il bene comune viene prima del nostro individuale».
Quindi lei è favorevole all’obbligo vaccinale?
«Credo che si debba insistere nell’esercitare quello che potremmo definire un “soft power”, fatto di scelte chiare, difese con coraggio e ben spiegate. Anche i giovani e tutti i soggetti meno a rischio dovrebbero scegliere un gesto di responsabilità che mette in sicurezza i più fragili ed esposti. E poi c’è l’evidenza scientifica e ci sono i numeri: in Lombardia oggi abbiamo 50 persone in terapia intensiva e sono tutte non vaccinate e il rischio ricovero per chi non si vaccina è cinque volte più alto».
Letizia Moratti, vicepresidente della Regione Lombardia e assessore alla Sanità, snocciola i dati: «Grazie all’impegno di tante donne e uomini, anche su base volontaria, in pochi mesi abbiamo somministrato il vaccino a 7,5 milioni di lombardi e oggi la nostra regione ha un tasso di vaccinati dell’85 per cento, il più alto in Italia, in linea con il dato record della Danimarca».
Pronti per la terza dose?
«A giugno abbiamo presentato il nostro piano per la terza dose al ministro Speranza e al commissario Figliuolo ed è stato apprezzato: appena avremo il via libera partiremo con mini hub, farmacie e con vaccini sufficienti per tutti».
Condivide il ricorso al green pass?
«Sono favorevole a tutte le misure che avvantaggino la libertà sociale ed economica. Non possiamo permetterci un altro lockdown, La crescita economica è premessa indispensabile per affrontare la lotta alle nuove povertà che sono emerse. I segnali che ci arrivano però sono confortanti, per quest’anno l’Istat ha previsto una crescita sostenuta del Pil sia nel 2021 (+4,7%) sia nel 2022 (+4,4%). A far da traino l’economia lombarda che è tornata sui livelli di produzione pre-Covid e con un +32% sul 2020 che la collocano nettamente sopra la media Ue».
Dove vuole arrivare?
«Semplice: l’economia continuerà a crescere anche grazie alla vaccinazione che permette un ritorno delle normali attività e dei consumi».
La crisi economica ha portato nuove povertà: come affrontarle?
«Il Covid ha gettato nella povertà estrema 120 milioni di persone nel mondo: e tornando al principio che dobbiamo pensare collettivamente e non individualmente, abbiamo responsabilità precise anche nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Abbiamo perso terreno anche rispetto ad alcuni obiettivi dell’Agenda Onu 2030 e per questo dobbiamo rispondere come Nazioni. Dare il vaccino ai Paesi più poveri è un obbligo di civiltà, oltre a essere un punto ulteriore a favore della nostra sicurezza».
A proposito di coscienza collettiva, gli Stati stanno affrontando il gravissimo tema Afghanistan.
«Serve un piano europeo per fronteggiare l’emergenza, anche in memoria dei nostri soldati morti e di tanti connazionali che si sono impegnati in questi 20 anni per aiutare gli afghani a riconquistare diritti che ora sono ancora a rischio. Penso soprattutto alle donne: auspico venga assunta al più presto una posizione forte da parte anche di tutte le istituzioni sovranazionali».
Da dove partire?
«Dalla convinzione che non si può portare indietro l’orologio della storia e che l’Afghanistan del 2021 non è lo stesso di vent’anni fa. Milioni di bambine e bambini hanno avuto l’accesso all’istruzione, hanno potuto vivere con maggiori libertà, e queste cose non si dimenticano. Investire nello sviluppo umano e nel rispetto della dignità delle persone fa crescere quella consapevolezza che poi è capace di cambiare il mondo. Senza contare che la popolazione afghana negli ultimi 20 anni è praticamente raddoppiata, sono aumentati esponenzialmente gli studenti: tra questi, abbiamo 6 milioni di donne che hanno intrapreso la strada dell’emancipazione. Non sarà facile, anche agli occhi dell’opinione pubblica e della diplomazia internazionale, disattendere queste aspettative che si sono create negli anni».
Per la ripresa post-Covid, quali sono i temi su cui auspica un intervento del governo?
«Anzitutto, la questione del lavoro delle donne e del sostegno alle famiglie. A causa della pandemia le donne hanno subito una quota sproporzionata di perdite di posti di lavoro, a febbraio i dati Istat indicavano che su 101 mila nuove disoccupazioni, 99 mila riguardavano le donne. L’interruzione delle normali attività scolastiche ha poi prodotto un aumento del lavoro di cura e domestico. Questi fattori rischiano di aggravare ulteriormente il calo demografico con il Paese che ha registrato nel 2020 un nuovo record negativo delle nascite».
Ma non è facile decidere di avere figli se non si hanno garanzie occupazionali e sostegno nella gestione familiare.
«Appunto. Bisogna interrompere il circolo vizioso che si è creato tra bassa crescita, denatalità, invecchiamento della popolazione, aggravamento degli ostacoli che limitano la crescita economica. Se si vuole aumentare la capacità di tenuta del Paese le politiche di sostegno al family planning e alla maternità devono diventare strategiche così come lo sono diventate in Francia. In Italia si fanno pochi figli non perché non siano desiderati ma per le oggettive difficoltà economiche, lavorative e di organizzazione. Anche in questo caso, dobbiamo pensare all’interesse collettivo e al bene comune».