Corriere della Sera, 5 settembre 2021
Ontervista ad Ambra Sabatini
Ambra Sabatini, si sta rendendo conto di quel che è successo?
«Ancora no, mi sembra incredibile. Mi ero immaginata centomila finali diversi. Così belli mai».
Tre italiane sul podio dei 100 metri all’ultima gara della Paralimpiade: sembra un film.
«Vincere così è meraviglioso. Fra noi c’è un bel clima. In questi mesi ho passato molto tempo con Martina e Monica, siamo amiche e nello sport l’amicizia è più solida».
Cosa ha provato?
«È difficile trovare le parole. Ero davvero emozionata. L’ambiente era bellissimo, c’era quella luce che illuminava la pioggia. Era la sensazione che cercavo».
Non era ancora arrivata al traguardo e già piangeva.
«Perché desideravo troppo la medaglia, rappresenta il riscatto di questi due anni dall’incidente. Finalmente mi sento completa».
Aveva 17 anni e le amputarono la gamba dopo un incidente.
«Stavo andando agli allenamenti, l’atletica faceva già parte della mia vita. Fu fondamentale la mia famiglia: mamma, papà e mio fratello sono punti di riferimento».
Per lei poteva essere la fine dello sport.
«Smettere di correre era fuori discussione. La voglia di ricominciare l’ho avuta da subito: sapevo che anche senza una gamba si poteva fare».
Come lo sapeva?
«Avevo visto dei video prima dell’incidente. Martina Caironi fece un record nel salto in lungo e mi incuriosì. Vedevo gareggiare lei e Pistorius. È stato fondamentale».
È vero che in ospedale quasi sperava la amputassero?
«Così potevo tornare a correre. Se mi fosse rimasta una gamba piena di problemi non avrei più potuto farlo. Mi ricordai quei video. Facevo ricerche forsennate su google, ho studiato gli atleti amputati. Ero quasi una stalker!».
Si ispirò a Martina quindi?
«Con lei è facile. Ha anche il mio stesso tipo di amputazione. Mi sembra strano averla battuta».
In ospedale ebbe anche una sorpresa.
«Un amico mi fece avere un video che Alex Zanardi aveva fatto per me. Fu importante. Quando ho saputo del suo incidente ho pianto. Ma lui non molla, lo so. Lo ha insegnato a me, a noi tutti».
Cosa fece quando tornò a casa?
«Volevo uscire: era estate e io amo il mare. Sono andata in spiaggia a nuotare. Potevo fare solo quello, non avevo ancora una protesi».
Poi iniziò a correre.
«Feci una gara a Siena: caddi alla partenza e all’arrivo. La settimana dopo agli Assoluti di Iesolo incontrai Monica e Martina. Con le protesi facevo molta fatica. Cambiò tutto quando la Fispes, la Federazione paralimpica che segue l’atletica, mi permise di utilizzare una protesi fatta dall’Inail».
In poco tempo battè il record di Martina.
«La svolta avvenne quando entrai nelle Fiamme Gialle, avevo questo sogno anche prima dell’incidente. Ora ai raduni sono in stanza con Martina, anche lei ne fa parte».
Altri incontri importanti?
«Bebe Vio. Ci siamo viste all’Isola d’Elba, faccio parte di art4sport, è una grande famiglia».
Con l’atletica ha anche trovato l’amore.
«Alessandro, fa atletica anche lui. Ci conosciamo dalle medie, ma eravamo solo amici. Quando ero in ospedale, come regalo per il suo compleanno chiese ai suoi di farsi portare da me a Firenze».
Ha vinto sulla stessa pista dove all’Olimpiade hanno conquistato l’oro Jacobs e la staffetta 4x100.
«Ho tifato per loro ma questa è la Paralimpiade: la diversità rende il mondo più bello, non bisogna vergognarsi di ciò che siamo».
Ora si sente anche lei una fonte di ispirazione?
«Spero che la mia storia e questa fantastica gara girino negli ospedali tra le persone che hanno perso un arto o anche solo abbiano qualche problema: si accorgeranno che tutto si può superare».
Cosa le rimane di Tokyo?
«L’emozione di aver vinto con due amiche. Mi resterà per sempre incisa nel cuore».