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 2021  settembre 04 Sabato calendario

Il piano per l’Afghanistan di Silvio Berlusconi

Io credo che anche noi come europei proprio alla luce di questi fatti dovremmo fare una nostra riflessione approfondita, proprio nello spirito del recente appello del capo dello Stato, che condivido in toto – sia sul futuro della nostra politica verso l’Afghanistan e l’intero Medio Oriente – sia sulla capacita dell’Europa di essere protagonista della politica mondiale.
Ho già detto spesso come la penso sulle comuni radici storiche e religiose dei nostri popoli e di come il lento ma inesorabile processo verso l’integrazione abbia certamente assicurato a questo nostro continente decenni di stabilità. Tuttavia questa stabilità non basta. È come se – dopo aver fatto un grande sforzo per raggiungere pur importantissimi traguardi sotto il profilo politico, economico, finanziario e sociale – l’Europa si fosse «accontentata» dei risultati raggiunti. Ma non può e non deve essere così. La crisi afghana è solo l’ultima, in ordine di tempo, fra le situazioni internazionali che ci richiamano alle nostre responsabilità. Quante volte, negli anni, di fronte a un problema mondiale abbiamo detto (Kissinger fu tra i primi) che l’Europa deve parlare con una sola voce («non so quale numero di telefono comporre se devo parlare con l’Europa», mi disse una volta il mio amico George Bush, citando proprio una battuta dell’ex segretario di Stato). Quante volte abbiamo detto e pensato che potevamo e dovevamo fare di più ma ci siamo ritrovati in una condizione di sostanziale, rassegnata impotenza.
Questo è accaduto per diverse ragioni, ma la prima e più importante è che abbiamo appaltato forse con un po’ di superficialità e – diciamolo pure, di convenienza – la nostra totale difesa al grande alleato americano, che con il suo ampio ombrello ci ha protetto, difeso e tranquillizzato. Non immagino naturalmente che gli Stati Uniti abbandoneranno l’Europa al suo destino nel futuro prevedibile: forse però agiranno in modo diverso, meno garantito e magari un po’ più distaccato. In una parola: le priorità geopolitiche mondiali si evolvono. Gli Stati Uniti sono costretti a riorientare la loro politica estera, oggi più diretta a fronteggiare il pericolo egemonico ed espansionista cinese. L’Europa e gli europei devono quindi da un lato rendersi conto appieno di questo fenomeno e dall’altro assumere decisioni conseguenti.
La difesa
La Ue deve mettere in cantiere una reale politica di difesa comune dei confini
Ma tutto ciò non è nemmeno successo, diciamolo con coraggio, perché le troppe diversità di vedute su tanti temi essenziali: la formazione di minoranze di blocco, la costruzione di fronti del nord contro quelli del sud e viceversa (e potrei andare avanti all’infinito) hanno di fatto impedito all’Unione Europea di fare passi avanti concreti e definitivi. Hanno reso impossibile ragionare come una comunità di popoli liberi basata su valori condivisi e non su una continua faticosa negoziazione di interessi dei governi nazionali. Mentre sulla lotta alla pandemia, l’Europa (anche per il nostro intervento) ha saputo essere all’altezza della situazione, prendendo determinanti decisioni comuni, non abbiamo saputo fare altrettanto per esempio sul tema egualmente importante della lotta all’immigrazione clandestina. Su questo tema continuiamo ad invocare, non senza difficoltà e con pochi risultati, il sacrosanto principio della solidarietà, della condivisione e della redistribuzione tra i Paesi dell’Unione.
Sono almeno vent’anni che insisto in tutti i consessi internazionali che ho frequentato sul concetto di difesa comune europea. Se ancora oggi si parla dello stesso tema e finalmente si sono levate molte altre voci chiedendone l’introduzione effettiva, è perché i fatti si sono incaricati di dimostrare dolorosamente la gravità di questa lacuna. La parola d’ordine è sembrata molto spesso questa: andiamo avanti insieme, ma sempre in ordine sparso. Suona come un paradosso, ma è quello che è accaduto. Ben venga, pertanto, e fa benissimo l’Italia ad insistere su questo, una riunione straordinaria del G20 sull’Afghanistan, dove la simultanea presenza di attori fondamentali della Comunità Internazionale con voce in capitolo sul martoriato Paese potrà davvero rivelarsi utile. Lo sarebbe forse meno il G7, per la ristrettezza del formato, ma anche perché l’assenza della Russia – che assurdamente si protrae – ne inficia e ne limita le pur evidenti potenzialità.
Tuttavia, fermarsi a riconoscere le difficoltà dell’Europa non basta davvero: dobbiamo lavorare per non perdere la possibilità che l’Europa torni ad essere quel faro di civiltà e sicurezza nel quale abbiamo sempre creduto. L’Europa delle società aperte, degli uomini liberi, dell’uguaglianza fra le persone, delle opportunità per tutti. Un’Europa capace di proiettare i propri principi fondanti e anche i comuni interessi da difendere nel futuro globale del mondo. Lanciamo pertanto tutti insieme, noi, Paesi membri dell’Unione, un grande piano europeo per l’Afghanistan. Un grande piano che abbracci iniziative a tutto campo, in tutti i settori essenziali: politico-diplomatico; assistenza umanitaria; difesa e sicurezza; cooperazione economica e sociale. Offriamo speranza ed asilo a chi lo sta cercando affannosamente in questi tragici momenti; lavoriamo per garantire dei corridoi umanitari; condividiamo realmente una solidarietà europea, naturalmente mantenendo sempre alto il livello di allerta contro il rischio terrorismo; facciamo sentire il peso dell’Europa, convocando un Consiglio europeo straordinario; agiamo in tutti i fori internazionali (Onu in testa) con posizioni comuni; soprattutto iniziamo a mettere in cantiere una reale ed effettiva politica di difesa comune dei confini esterni dell’Unione.
La crisi afghana è solo l’ultima, in ordine di tempo, fra le situazioni internazio-nali che ci richiamano alle nostre responsa-bilità
Adottiamo posizioni comuni nei consessi economici multilaterali per dare sostegno alla popolazione afghana. Anni fa avanzai l’idea di un grande piano Marshall per la Palestina: analogamente agiamo, noi europei, per coordinare i nostri sforzi per varare iniziative comuni in campo economico, finanziario e della cooperazione allo sviluppo a favore di chi sta forse sfuggendo ad una morte quasi sicura.
Facciamo in modo che il nobile sacrificio di così tante vite umane (ricordiamoci sempre con profondo rispetto dei nostri caduti in Afghanistan nell’adempimento del loro dovere) non sia reso vano: prendiamo spunto dal loro sacrificio, come anche dall’encomiabile lavoro dei nostri civili e militari che hanno salvato anche in questi giorni molte vite umane. Lavoriamo perché l’Europa non sia marginale ma protagonista nel mondo, quale portatrice dei più alti valori della persona, del rispetto delle libertà e dei diritti umani. Partiamo da questa immane tragedia, per varare un grande Programma europeo di aiuto e sostegno. Cosi l’Europa sarà all’altezza del suo compito e così avremo dimostrato la nostra forza e il peso delle nostre idee.