il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2021
L’italiano è una lingua straniera
Basta mettere il naso fuori casa, e d’estate succede più spesso, per fare una scoperta allarmante. Non si sentono parole italiane nel nostro Paese. Nei mercati, nei supermarket, nelle piazze solo dialetti e nemmeno troppo annacquati. Negli anni 60 Tullio De Mauro scrisse una storia linguistica dell’Italia unita in cui sosteneva che l’italiano si era diffuso attraverso la televisione. Allora si aprì un dibattito violento tra scrittori, con Pasolini che temeva l’avanzata di un linguaggio tecnologico e Moravia che, al solito, lo bacchettava. Nessuno però si era accorto che, nonostante la televisione, a parlare italiano erano solo i ceti borghesi più colti, e si trattava di una lingua burocratica, mentre la piccola borghesia, il proletariato e il sottoproletariato continuavano a parlare dialetto. Ricordo un mio zio marsicano che di venti parole che ascoltava in tv ne capiva soltanto una. Erano le immagini a parlare italiano.
Questa estate viaggiando tra il Lazio e l’Abruzzo non ho ascoltato che parole dialettali, spesso incomprensibili. Nonostante la vittoria che ci ha incoronati campioni d’Europa, i successi olimpici e lo sventolio del tricolore alle finestre delle nostre case, l’italiano è ancora una lingua straniera. Quelli della Lega certo ne saranno contenti, ma se l’italiano rimane sconosciuto, come chiamarsi nazione?
Si è detto che gli studenti di oggi ignorano la lingua: anche quella scritta su Facebook resta approssimativa, zeppa di motti inglesi. Quella della televisione è farcita di accenti sbagliati e di parole scombinate come fossimo non il primo mondo ma l’ultimo. Dovrebbero consolarci gli scrittori, ma anche loro preferiscono un italiano non articolato per il timore di perdere lettori. Una volta i politici come Aldo Moro azzardavano espressioni difficili come “convergenze parallele”. Oggi i politici usano dieci parole in tutto nei loro slogan. E quando scrivono libri si capisce che non hanno letto nulla di importante. Giorgia Meloni vorrebbe iscrivere a Fratelli d’Italia persino Pasolini, non avendo nemmeno letto la recensione a Un po’ di febbre di Sandro Penna, che aveva scatenato un dibattito sulla nostalgia del fascismo di un poeta massacrato proprio dai fascisti.
Dunque l’italiano è rimasto al grado zero e nessuno se ne preoccupa. Hanno paura degli elettori che, vedendosi nei panni di completi ignoranti, potrebbero votare altrove alle prossime elezioni. Siamo ridotti malissimo, come uno che circola con i vestiti della propria lingua a brandelli e cincischia su tutto. Oggi poi sono proprio i borghesi a omologarsi con i “barboni”, anche nell’espressione. La lingua di Dante, tanto celebrata nell’anniversario, è ostrogoto. Cari scrittori italiani, come fate a vivere senza lingua?