la Repubblica, 3 settembre 2021
Intervista a Danilo Gallinari
CAPOTERRA (CA) — Il basket dei marziani, le Olimpiadi, l’Italia di Meo Sacchetti, Atlanta. Luoghi, obiettivi e persone distanti. Fisicamente e non solo. Danilo Gallinari si gode un angolo fatato di Sardegna. Nel silenzio, tra buone pratiche e parole sussurrate, quasi sospinte dal maestrale. Con la moglie Eleonora Boi, giornalista, e la primogenita di casa, Anastasia. Un trio speciale, a cena con un pugno di amici. Danilo e le sue perle. L’uomo, prima del campione. In un’oasi genuina. Per l’ala degli Hawks spontaneità utile per ritemprarsi. Nella villetta dei suoceri, Cenzo e Loredana, della cognata Ilaria. Tra l’ulivo centenario, raviolini, porchetto arrosto («Davvero spaziale!»), tiramisù a base di gelato e pavesini, l’aria è diversa. Affetto e accoglienza non hanno intermediari. Anastasia si ruba la scena. La reginetta è nata negli Stati Uniti, ha otto mesi, occhi blu mare. Mamma Ele mette Mille. Il gigante e la sua bambina ballano sul ritornello di Orietta Berti. Mostrano una smorfia simile, gioiosa e corrucciata. Il relax, dopo San Teodoro e Carloforte, prosegue dalle parti di Is Molas, tra tennis e golf. «Non so quando saremo negli States. Il 28 settembre sono in ritiro con gli Hawks, il 22 ottobre parte il campionato. Ora, solo vacanze». L’Nba può attendere, Anastasia no. «Ha cambiato le nostre vite, abbiamo più responsabilità, va protetta, sforna cose nuove di continuo. È magica». Lady Gallinari sente e annuisce. Danilo accelera: «A scuola ero bravino. Ma spero prenda i voti alti abituali per la madre. Avrà i valori delle nostre famiglie: sacrifici, umiltà, fatiche per cogliere il bersaglio, etica del lavoro, lealtà e rispetto del prossimo».Chissà che film se farà sport.«A sedici anni ero nelle nazionali giovanili e mio padre Vittorio non veniva a vedermi. Ai diciotto ho firmato il primo contratto, se avessi perso una partita, pazienza. Ma un inciampo alle superiori sarebbe stato un dramma. Anche Anastasia saprà che la scuola sarà più importante».Eleonora cosa le ha portato in dote?«Venivo da trent’anni da single, ha capito ritmi, esigenze, routine. È tosta e comprensiva. Una garanzia».Ripassiamo da Tokyo. La convocazione azzurra era scontata?«Sentivo che si sarebbero qualificati battendo la Serbia. Una settimana dopo Sacchetti mi ha chiamato, avevo appena finito di giocare, venivo dal ko in gara 6. Mi si è accesa la luce: le Olimpiadi, anche senza pubblico, sono incredibili e memorabili. In palestra hai al fianco il numero uno al mondo di judo, martello o boxe e il più forte pallavolista del pianeta. Vedi fare esercizi che neppure immagini, trovi atleti strepitosi visti solo in tv.Passeggi e trovi Jacobs, che conosco e seguivo, Greg Paltrinieri e Federica Pellegrini, leggende del nuoto».Parigi 2024, sente un tintinnio?«Vedremo. Avrò 36 anni, se mi chiamano sarò lì per dare il massimo. Magari per la rivincita con i francesi».Usa, Francia, Australia, Slovenia e Italia: valori olimpici esatti?«Sì. Con la Francia se la rigiochiamo dieci volte, sette la vincono loro. Ci è mancato un po’ di cinismo».Cosa le lasciano le Olimpiadi?«Un’esperienza unica con ragazzi speciali, in campo e fuori. Al villaggio eravamo divisi in sei per camerata.Con me c’erano Pajola e Tonut, forti e gran personaggi. Questo gruppo ai giochi di Parigi potrà fare la storia».Quali gare rigiocherebbe?«Gara 7 con Denver contro i Lakers di Kobe Bryant, Blake e Gasol. Ho giocato bene sei partite, quella l’ho toppata. Poi, ripenso alla sconfitta con l’Italia a Torino. Ci giocavamo le qualificazioni per Rio contro la Croazia. Sono uscito per falli, ricordo un arbitraggio strano. E i quarti con la Lituania per l’Europeo 2015».Viceversa, quali le migliori in archivio?«Tante, per fortuna. Penso alle partite con Philadelfia e Milwaukee.Sono soddisfatto per come ho chiuso l’annata. Da 8,5 in pagella».Qual è il suo dream team?«Larry Bird, idolo di mio padre Vittorio, Michael Jordan, Danilovic, Ginobili. In difesa piazzo proprio il mio papà, per reggere e dare botte.Nel roster metto anche Chris Paul, Iguodala, Young e Bogdanovic».In Nba qual è stato il momento più difficile?«Forse, i fischi al Madison Square Garden a New York. Scelta dei Knicks, avevo diciannove anni. Ma ho capovolto l’amarezza: è stata la motivazione che mi ha spinto a dare tutto me stesso. Sono orgoglioso dei miei tredici anni in America, record per un italiano, e dei sette a Denver».Gli Usa, gioie e dolori. Cosa le viene in mente?«L’assurda morte di Kobe. Ero a Oklahoma, mi chiama Zeno Pisani, un caro amico che vive da anni a Los Angeles. È molto legato alla famiglia Bryant. Urla, piange, non riesce a parlare. Sì, è stata una mazzata che mi tengo addosso. Kobe l’ho conosciuto, ci ho parlato e giocato contro tante volte. Se c’è un pianeta dove giocano a basket solo gli dei, lui è lì».Dove si immagina tra dieci anni?«Farò la spola tra Italia e Stati Uniti. A Denver abbiamo vari interessi, mio fratello Federico studia Sport management. Io di certo non farò il coach: se chiudi vuoi goderti la famiglia. Se alleni lavori il doppio e segui quindici ragazzi. Mi piacerebbe fare il procuratore, come mio padre».Quanto pesa essere il giovanotto da venti milioni di dollari l’anno?«Niente. Dietro la mia presenza in Nba c’è il sedicenne con tante rinunce, lavoro duro, le cose fatte e rifatte un miliardo di volte. Senza mollare».Magari chiude a Milano con l’Olimpia?«Sarebbe perfetto. Ma devono esserci le gambe. La testa ti fa pensare che puoi fare tutto, poi il corpo dice altro. Vedremo».A cena con un grande sportivo: chi sceglie?«Roger Federer. L’ho visto giocare agli Us Open e a Wimbledon, ma non l’ho mai incontrato. È fuori classifica».Altro gigante ma niente sport.«Jovanotti. Lorenzo è la colonna sonora della mia carriera. Ci conosciamo, magari facciamo un gran giro in bici».Chiudiamo con il calcio. Come vede il suo Milan?«Bene. Con Giroud faremo meglio in campionato e coppa. Ma c’è la Juve.L’Inter senza Conte, Lukaku e Hakimi è meno competitiva».