la Repubblica, 3 settembre 2021
Gli scrittori di Sua Maestà
C’era una volta un re. Comincia così la filastrocca ben nota a tutti i bambini italiani, o almeno agli ex bambini: i figli dell’Italia del boom. Ma nel mondo di oggi nessuno racconta le storie di sovrani, dame e cavalieri meglio degli inglesi. Da Hilary Mantel a Ken Follett, quelli che un tempo venivano chiamati romanzi “di cappa e di spada” sono un genere diffuso e consolidato in Gran Bretagna più che altrove. Una monarchia l’hanno o l’hanno avuta anche altri Paesi: la nostra tuttavia non era granché, quella francese è finita sulla ghigliottina con la rivoluzione, la spagnola ha perso l’epica del tempo di Don Chisciotte, le scandinave sono regni in bicicletta, la giapponese è lontana dagli orizzonti europei. La corona britannica invece è sempre lì, su per giù da un millennio, familiare a tutti anche oltre i confini britannici, duratura e capace di innumerevoli ispirazioni letterarie, per tacere di quelle televisive o cinematografiche, vedi il successo planetario di The Crown.
Beninteso, in questo genere di narrativa non è strettamente necessario avere un re o una regina in primo piano: basta che restino sullo sfondo, a dare l’atmosfera e il senso storico del passato in cui ci deposita la fantasia di turno. Vale per le fiction tivù, Downton Abbey il caso meglio riuscito, come per la letteratura: nobiltà e servitù, i primi upstairs, al piano di sopra, i secondi downstairs, a
quello di sotto. Dopo avere pubblicato tanto, con scarsa fortuna, Mantel (l’intervista da domani su Robinson ) ha realizzato la rara impresa di vincere ben due Booker, il più prestigioso premio letterario anglosassone, il primo nel 2009 e il secondo nel 2012, guadagnando milioni di lettori e di sterline, grazie a una trilogia ( Wolf Hall il titolo che l’ha aperta) centrata su Thomas Cromwell, tra il 1532 e il 1540 primo ministro di Enrico VIII, il monarca dalle sei mogli e dello scisma anglicano. Il suo trucco, se così si può definirlo al di là di un’eccezionale abilità linguistica e scenografica? Scrivere al presente invece che al passato remoto, dando a personaggi di cinque secoli or sono l’immediatezza di una vicenda attuale.
Follett aveva già sfondato con due thriller di spionaggio, La cruna dell’ago e Il codice Rebecca, ma è diventato uno degli autori più popolari del mondo con I pilastri della terra, uscito nel 1989, l’epopea della costruzione di una cattedrale nell’Inghilterra del XII secolo fino all’assassinio di Thomas Beckett, l’arcivescovo di Canterbury: un long-seller che finora ha venduto 15 milioni di copie, spingendolo a scrivere tre sequel e due prequel tanto era forte il desiderio dei lettori di continuare a divorare la sua saga. Pure lui ha in un certo senso un trucco: dietro la sfida ingegneristica di innalzare una chiesa verso il cielo, e tra le pieghe di vicende storiche realmente accadute, mette in scena lo scontro fra la vecchia aristocrazia feudale e la nuova borghesia mercantile, metafora della lotta di classe e dell’evoluzione sociale in ogni era.
Ad alto livello intellettuale, quello che in inglese si chiama high brow, va certamente inserito nella categoria del romanzo storico inglese Il petalo cremisi e il bianco, ambientato nella Londra della regina Vittoria, con l’Impero britannico al suo apice. Un’opera monumentale, a cui Michel Faber ha lavorato vent’anni, con una meticolosa ricostruzione della vita quotidiana nella capitale attorno al 1870 mentre la trama segue l’ascesa di una giovane e spericolata prostituta diventata l’amante di un industriale dei cosmetici per affrancarsi da un destino di sfruttamento: anche qui non mancano i riferimenti ai giorni nostri.
A un livello più basso, low brow ovvero puro intrattenimento, basta digitare “romanzo storico inglese” su Amazon: saltano fuori 40 mila libri, con titoli come The Queen’s rival o
The Queen’s secret e un pubblico mai stanco di leggerne. Un campo in cui l’Inghilterra dei Tudor raccontata da Mantel ha numerosi rivali, sebbene non con la sua stessa capacità: non mancano una serie dedicata ai Plantageneti (quindici sovrani, dal 1154 al 1485) e più d’una riservata alle più recenti vicende dei Windsor, dalla fine della Seconda guerra mondiale fino a ieri. Non è un fenomeno soltanto odierno. Georgette Heyer è considerata la fondatrice del Regency romance, la novella romantica ambientata nell’età della Reggenza che copre il decennio 1811-1820, prendendo nome dalla reggenza dell’allora principe di Galles, Giorgio Augusto Federico, salito al potere quando il padre, re Giorgio III, fu riconosciuto inabile di proseguire le sue funzioni: un decennio decisivo per la storia britannica, segnato dalla vittoria nelle guerre napoleoniche.
Ma l’autrice di Regency back, il suo primo romanzo, pubblicato nel 1935, aveva dichiaratamente Jane Austen per modello. Allo stesso modo Faber non ha mai fatto mistero che il suo picaresco romanzo vittoriano, apparso nel 2002, avesse un progenitore nel grande affresco dell’Inghilterra ottocentesca disegnato da Charles Dickens in Oliver Twist, David Copperfield, Tempi difficili e Grandi Speranze. Quanto al romanzo storico a tinte rosa che impazza nei tascabili su Amazon, le sue radici affondano in classici come Il piccolo lord e La piccola principessa di Frances Hodgson Burnett, narratrice della seconda metà dell’Ottocento, specializzata in libri per ragazzi. Non per niente, del resto, è inglese il padre della intera specie: in fondo tutti gli scrittori e le scrittrici della regina vengono da Macbeth, Riccardo III e Le Allegre comari di Windsor. Perfino noi bambini italiani degli anni Sessanta, senza saperlo, avevamo un debito con Shakespeare, ogni volta che intonavamo la filastrocca: c’era una volta un re