La Stampa, 3 settembre 2021
San Marino sta pensando di legalizzare l’aborto
In queste ore si parla moltissimo del Texas, dove la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rigettato la richiesta di bloccare l’entrata in vigore di una legge estremamente restrittiva contro l’aborto. Si parla però – incredibilmente – assai meno di quella ancora oggi in vigore nella vicina di casa Serenissima Repubblica di San Marino, dove l’interruzione volontaria di gravidanza è assolutamente vietata, addirittura anche dopo uno stupro o in presenza di gravi malformazioni fetali. Con pene ultra severe – fino a sei anni di reclusione – sia per la donna che abortisce sia per chi l’aiuta.
Una norma che rende il piccolo staterello a una trentina di chilometri da Rimini, distante anni luce dal resto d’Europa in tema di diritti delle donne, anzi, dei diritti di tutti. Pari merito solo con Malta, Gibilterra, Andorra e Città del Vaticano. Mentre, per dire, la Polonia, di cui si pensa malissimo, ha sì introdotto divieti molto limitativi sull’aborto, ma non l’interdizione completa come a San Marino. Forse, ed è il caso di aggiungere finalmente, ora si potranno cambiare le cose: il 26 settembre si terrà un referendum, grazie alla mobilitazione dell’Unione donne sammarinesi (Uds), gruppo femminista degli anni 70, che si è ricostituito per questa indispensabile battaglia e ha raccolto le firme necessarie per chiedere di cambiare una legge che risale al 1865, e che da allora, invariata, resiste. «Una legge molto antica, confermata in epoca fascista e di nuovo poi nel 1974 con la revisione del codice penale», ci spiega Alberto Spagni Reffi, consigliere parlamentare di movimento Rete. «Poco prima che in Italia si approvasse la 194 sul diritto alla procreazione cosciente e responsabile, da noi veniva ribadito che l’aborto è reato, con pene che prevedono la detenzione di secondo grado, la stessa, per dire, dell’omicidio colposo. A San Marino purtroppo siamo indietro su molti aspetti, il diritto di voto alle donne è stata una conquista recente, degli anni 70. La politica non ha mai accolto le istanze dei cittadini e anzi fa spallucce: tanto si può andare in Italia, oltre confine, ad abortire. È la risposta standard. Inascoltabile. Anche perché noi ci facciamo gran vanto della nostra sanità pubblica completamente gratuita, ma chi va in Italia deve farlo a sue spese».
Addirittura a San Marino il giorno in cui cambiano i capi di stato, e accade 2 volte all’anno, la cittadinanza può presentare richieste al parlamento, che devono essere dibattute dal consiglio. E nel 2019 questo strumento popolare è stato utilizzato per chiedere di mutare la norma sull’aborto, ma il parlamento, che aveva sei mesi di tempo, non ha risposto. «La resistenza da parte della politica a modificare questa legge è imputabile al partito democratico cristiano, che oggi è il principale partito a San Marino: conservatore, si ispira ai principi cristiani, contro eutanasia e unioni civili oltre che all’interruzione della gravidanza», dice Karen Petruccioli, promotrice del referendum, per cui sono state raccolte più di tremila firme, tre volte tanto il quorum richiesto. «Abbiamo registrato un riscontro pazzesco, enorme, da parte di sammarinesi di tutte le fasce di età. Da un mese stiamo facendo una campagna informativa sull’interruzione volontaria della gravidanza, perché c’è tanta disinformazione. Ma abbiamo un buon feeling. I cittadini, anche quelli più religiosi, ci sembrano pronti a legiferare in merito: e, 43 anni dopo l’Italia, sarebbe pure ora».