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 2021  settembre 02 Giovedì calendario

Intervista al ballerino Sergei Polunin

Davanti al Teatro Alighieri di Ravenna, dove ieri sera ha debuttato in prima assoluta Dante Metànoia, è un pellegrinaggio di fan speranzose di farsi autografare almeno un lembo di pelle. Ma su quella di Sergei Polunin, i tatuaggi dei volti del presidente russo Vladimir Putin e del Joker maledetto Heath Ledger, che hanno alimentato la fama del 31enne «bad boy» del balletto, sembrano oggi gli abiti dismessi di un ex ribelle. 
Famiglia e disciplina sono il nuovo mantra del fascinoso Sergei, il divo ucraino per il quale Ravenna Festival ha prodotto, nell’ambito della Trilogia d’Autunno, la creazione di Dante Metànoia, balletto di cui Polunin firma la coreografia del Purgatorio, mentre Inferno e Paradiso sono opera dei fidi Ross Freddie Ray e Jirí Bubenicek. 
Nel mezzo di una selva oscura di animazioni video, mentre la cantante ventenne Andjela Ninkovic evoca Beatrice, Sergei danza, senza risparmiarsi per un’ora e 10 di balletto, un solitario corpo a corpo con Dante. 
Perché ha scelto di coreografare la seconda cantica? Si sente in purgatorio, come uomo e come artista? 
«Sì, nella mia vita sono in una terra di mezzo. Vivo gli opposti di paradiso e inferno come estremi tra cui oscillo». 
Il titolo «Metànoia» significa metamorfosi, conversione. Si è convertito? 
«In ogni balletto intraprendo un viaggio attraverso il corpo. Dante ha vissuto inferno, purgatorio e paradiso attraverso la narrazione. La sua è una storia di ascensione che ora diventa mia e io la trasmetto al pubblico. Tutto ruota intorno a un’idea di mutazione: è il ruolo dell’arte che ha il potere di aprire cuore, mente, anima». 
Ha interpretato personaggi lacerati come Rasputin e Nijinskij. Che idea si è fatto di Dante? 
«Dante morì a Ravenna nel settembre di 700 anni fa: entro nella sua realtà, nel suo mondo immaginario. C’era molto inferno in lui. Lo spettacolo doveva debuttare un anno fa: con altri ballerini in scena, avremmo dovuto distanziarci di due metri. Così ho deciso per un one-man show. È una sfida dettata dalle circostanze. Mi immergerò nell’energia del pubblico». 
Come ha vissuto questo periodo di crisi teatrale? 
«È stato un tempo bello da vivere con la mia compagna Elena e mio figlio Mir. Un dono dal cielo. Ho vissuto il presente, assaporando le piccole cose come quando ero ragazzino, senza impegni e pressioni». 
Cos’è per lei l’inferno e il paradiso? 
«Il paradiso è il balletto classico, la dimensione che mi fa volare e mi viene naturale. Quando danzo il contemporaneo, è un inferno per i miei muscoli. In Metànoia la mia coreografia per il Purgatorio è classica: nella vita, la via di mezzo è la più facile». 
La trasgressione la tenta ancora? 
«Oggi vivo bene la scena e rispetto gli impegni. Se sono in una dimensione giusta, non ho motivi per lottare contro il sistema e scappare, aderisco alla mia visione e al mio progetto di vita. Da un anno e mezzo è andato tutto meglio. Ora sono in perfetta forma fisica e posso affrontare qualsiasi classico meglio di prima». 
È in lavorazione il sequel del film «Dancer»: sembra molto diverso dal ribelle della prima parte… 
«Il regista Anton Corbijn pensa a una seconda parte focalizzata sulla danza. La mia vita è cambiata e il docufilm si adatterà al nuovo Polunin e alla sua creatività». 
Nell’ultimo film «Passion Simple» è un focoso amante russo. Il cinema continua ad attrarla? 
«Sì, anche se la mia principale attività resta la danza, il cinema riveste una parte sempre più importante». 
I teatri torneranno a lavorare come prima del Covid? 
«La gente è affamata di spettacoli dal vivo. Non è facile trovare soldi senza istituzioni pubbliche. Per fortuna ci sono angeli pronti a sostenere la danza».