Corriere della Sera, 2 settembre 2021
Il grande ritorno del Gioco Nucleare
Il Doomsday Clock è un immaginifico orologio pensato da un gruppo di scienziati americani per misurare quanto siamo distanti dalla catastrofe nucleare. Nel gennaio 2020 è stato portato a cento secondi dalla mezzanotte, cioè un minuto e quaranta dal disastro totale, e a questo orario è rimasto anche nel 2021: dal 1947, quando fu ideato, non è mai stato tanto vicino al buio totale. È immaginifico e super-allarmistico nel senso che il nome stesso – Orologio dell’Apocalisse – ha l’obiettivo di spaventare ed è costruito su ipotesi discutibili. Succede però che la questione delle armi nucleari, che sembrava passata in secondo piano con la fine della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, sta tornando con prepotenza. Segnale di come la Storia stia svoltando. La settimana scorsa, il vicecomandante del Comando Strategico che sovrintende all’arsenale nucleare americano, Thomas Bussiere, ha sostenuto che ci stiamo avvicinando «a un punto di deviazione, in cui il numero di minacce dalla Cina eccederà il numero di minacce che la Russia presenta attualmente». E ha aggiunto: «Crediamo che ci sarà questo punto di crossover tra non molti anni». In altri termini, Pechino sarebbe impegnata nella costruzione di una capacità nucleare destinata a essere maggiore di quella, ancora enorme, di Mosca. Il «gioco atomico» delle superpotenze passa così da due a tre e soprattutto la sfida per l’egemonia globale tra Washington e Pechino entra anche nella dimensione nucleare. A volo d’uccello, si direbbe che la Cina ha molta strada da fare. Il centro di studi Sipri calcola che gli Usa abbiano 5.500 testate di cui 1.800 schierate (ma Washington ne ammette solo 1.357); la Russia 6.255 di cui 1.625 operative (ma non si sa con certezza fino a che punto); la Cina 350 delle quali si sa poco. Nei giorni scorsi, però, immagini satellitari hanno notato che Pechino sta costruendo 120 silos nucleari (da cui possono partire missili intercontinentali) a Yumen (parte occidentale del Paese), altri 110 silos a Hami (nello Xinjiang) e una dozzina a Jilantai (nel Nord), i quali si aggiungono a un centinaio di lanciatori mobili. Fino a ora, Pechino aveva posseduto una ventina di lanciatori. Alla fine del programma di costruzione, i silos potrebbero contenere 875 testate nucleari (tre per missile), dice la Federation of American Scientists.