Corriere della Sera, 2 settembre 2021
La sfida di madame Jeanne alla Francia che la crede morta
Oggi in Francia si torna a scuola, momento che per convenzione equivale alla definitiva rentrée per tutti: dopo le vacanze estive le città sono di nuovo affollate, gli uffici riaprono nonostante un certo grado di smart working, i romanzi arrivano nelle librerie tutti insieme, a centinaia, secondo un rito unico al mondo. Più che altrove, in Francia la rentrée è un nuovo inizio. Ma per Jeanne Pouchain, signora 59enne che vive con il marito a Saint-Joseph, vicino a Lione, niente è cambiato. Era morta prima, e resta morta pure adesso.
Della signora Jeanne si è cominciato a parlare lo scorso gennaio, quando lei ha denunciato che la burocrazia francese da oltre tre anni la considera morta. Si è rivolta pure al medico di famiglia, il quale non ha potuto che certificare la sua esistenza in vita, ma non è bastato. «Non ho più la carta di identità, quindi non ho più la Carte Vitale (prezioso passe-partout francese per l’accesso al sistema sanitario e alle medicine, ndr) e il numero di previdenza sociale, non ho più la patente, non posso provare alle banche che sono viva, e non posso neppure cercare lavoro. Mi aggrappo solo al libretto di famiglia: la pagina “decesso della sposa” è ancora vuota. Ma serve a poco».
La disavventura burocratica record comincia nel 2004, quando una dipendente dell’azienda di pulizie creata e poi chiusa da Jeanne Pouchain le fa causa. La signora è condannata a pagare 14 mila euro, ma per vizi di procedura la sentenza non viene eseguita. La dipendente non si arrende, rilancia la richiesta dei 14 mila euro nel 2009 che però viene giudicata irricevibile nel 2013. Nel 2016 allora si rivolge alla Corte di Appello di Lione, sostenendo che la signora Pouchain è deceduta e che a doverla risarcire sono il vedovo e il figlio. Per quanto possa sembrare incredibile, nessuno verifica la correttezza dell’informazione. Nel 2017 i giudici accolgono il ricorso.
«Un giorno hanno suonato alla porta – racconta il marito – era l’ufficiale giudiziario. Mi ha informato che in quanto vedovo di Jeanne Pouchain ero tenuto a pagare io il risarcimento. È stato abbastanza scioccante essere chiamato vedovo». Tanto più che la moglie era viva, per quanto in un’altra stanza. La donna pensa che l’errore sia riparabile con poco sforzo, ma si sbaglia. Una sentenza non si corregge facilmente. Jeanne Pouchain prova a resuscitare da oltre tre anni, ma siamo ancora al solito punto: per l’amministrazione francese non esiste. «Sono stremata, ho paura a uscire di casa perché senza documenti mi può succedere qualsiasi cosa, e la notte non dormo perché non penso che a questo», ha detto Jeanne alla Reuters che due giorni fa è andata a trovarla a Saint Joseph. Quando ha provato a rifare un documento le è capitato, in forma spropositata, quel che è successo a molti: per la carta di identità ci vuole il numero di sicurezza sociale, e per il numero di sicurezza sociale ci vuole la carta di identità. Alla fine ha rinunciato, e ora aspetta la sentenza definitiva che riconoscendo la truffa della ex dipendente la restituirà alla vita amministrativa e sociale.
Per resistere, Jeanne Pouchain ha pensato a quel che farà quando tornerà in vita: «Per prima cosa un check-up completo perché non mi sento bene, so che qualcosa non va nel mio corpo. Poi devo andare dal dentista. Ma mi basterà godermi la vita, a casa, con mio marito, fuori da questo incubo». Il marito confida nella risonanza mediatica, ed è ottimista: «La speranza ci fa andare avanti, e sono certo che alla fine verrà riconosciuta la nostra ragione. Non stiamo chiedendo niente di straordinario. Tra l’essere vivi o morti, non dovrebbero esserci grossi dubbi».