Corriere della Sera, 2 settembre 2021
Biografia di Hibatullah Akhundzada
Non si sa se sarà un primus inter pares oppure un leader su modello iraniano, esterno all’esecutivo, ma con l’ultima parola su tutto. Non si sa neppure se avrà il titolo di emiro, presidente, sceicco, guida suprema, comandante dei credenti o che altro. Ma il prossimo leader dell’Afghanistan sarà mullah Hibatullah Akhundzada. Il suo nome è stato confermato ieri dalla Commissione Cultura del movimento.
È il terzo leader talebano dal 1994, il secondo a salire al vertice del Paese. Il primo era stato Omar, il fondatore degli studenti del Corano, mullah-guerriero di cui non si conosceva neppure l’aspetto. La foto che circola, sgranata, di lui giovane con un occhio chiuso da una scheggia, è tutt’altro che certa. Da emiro si faceva sentire con audio registrati, ma mai vedere in pubblico. Omar morì di malattia, costretto per 14 anni a nascondersi, braccato da satelliti e orecchi elettronici. Il secondo è stato polverizzato da un missile americano dopo aver incontrato una delle mogli. Si chiamava Akhtar Mohammad Mansour, anche lui un mullah più kalashnikov che Corano, nominato erede dallo stesso Omar. Di lui si avevano almeno immagini confermate, ma fu nominato in esilio e morì in esilio. L’indicazione del nome di Hibatullah Akhundzada come successore era scritta nel suo testamento. Con quella scelta, la «shura di Quetta», il nucleo originario dei talebani del sud, manteneva la sua preminenza all’interno del movimento, ma, precisano i talebani, tutti gli altri gruppi lo confermarono con voto unanime. La riunione del consiglio supremo avvenne sfidando i droni americani. Alcuni capi guerriglieri non si presentarono per paura di uno strike. Mullah Hibatullah piaceva a tutti perche non spaventava nessuno. La sua era un figura militarmente «leggera», guida spirituale, ma poco altro in un momento di guerra. Fu il suo vantaggio.
Era il 2016 e Washington considerava i talebani dei terroristi che minavano la stabilità del governo alleato di Kabul. Il Pentagono inseguiva i leader integralisti anche fuori dai confini afghani e li uccideva. Per isolare il neo eletto Akhundzada, sembra che la Cia abbia riempito di dollari alcuni membri della sua tribù pashtun, i Noorzais, ma senza ottenere delazioni. L’atteggiamento Usa sarebbe cambiato solo due anni dopo, nel 2018, quando i talebani cominciarono ad essere considerati interlocutori indispensabili con cui firmare accordi e non più solo terroristi da combattere.
Il «merito» della svolta è da attribuire anche al mullah Hibatullah. Quando venne confermato, le diverse «shure» degli studenti coranici litigavano sull’opportunità di trattare con gli «infedeli», con i «burattini di Kabul» oppure di proseguire la Guerra Santa senza negoziati. Mullah Hibatullah, invece, ha convinto tutti ad accettare il patto di Doha del 2020 con Washington. I più recalcitranti sarebbero stati il figlio del fondatore, mullah Yakub, e il network Haqqani. Segno dell’autorità del futuro leader afghano è che le varie fazioni hanno, ufficialmente, rispettato la firma del patto di Doha senza uccidere da allora neppure un americano. Del nuovo leader dell’Afghanistan abbiamo per il momento un’unica foto, ma lo stile dei talebani si è adattato ai nuovi tempi, almeno in termini di propaganda. Akhundzada dovrebbe mostrarsi in pubblico a breve. Rispetto ai predecessori ha scarse credenziali militari. In compenso è considerato un esperto di sharia, la legge islamica, e purtroppo non c’è nulla di rassicurante nella sua visione dell’Islam.
Durante il primo Emirato (1996-2001) Akhundzada era ai vertici del sistema giudiziario e promuoveva la lapidazione per le adultere e il taglio della mano per i ladri. Durante l’esilio la sua interpretazione della sharia si è avvicinata ai modelli suicidari iraniani poi imitati da Al Qaeda. Nei primi anni dopo il 2001 Akhundzada aveva rinunciato a incarichi politici per reclutare volontari per azioni suicide in diverse madrasse, scuole coraniche, pachistane.
Akhundzada ha dimostrato di credere a quel che predicava. Uno dei suoi figli maschi, diventò shahid: nella provincia di Helmand, terra di oppio e di feroci battaglie con il contingente britannico, si fece esplodere come una bomba umana. Aveva 23 anni. Il gesto del ragazzo ha contribuito all’ascesa di Akhundzada nel Consiglio talebano. Il nuovo padrone dell’Afghanistan è lui.