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 2021  settembre 02 Giovedì calendario

La storia di Oksana Masters, stella delle Paralimpiadi

Esalta ciò che hai, non pensare a quello che ti manca. Guardi Oksana Masters e vieni rapito dalla bellezza e da quella tenacia che le ha permesso di conquistare il secondo oro nell’handbike nel giro di 24 ore alla Paralimpiade di Tokyo, la 10ª medaglia ai Giochi tra estivi (1 nel canottaggio e 2 nel ciclismo) e invernali (5 nel fondo e 2 nel biathlon), dimenticandoti di quello che il suo animo e il suo fisico hanno sofferto sin dalla nascita, il 19 giugno 1989 a Khmelnytskyi (Ucraina), città a 400 km da Chernobyl. Il disastro nucleare dell’aprile del 1986 ha colpito forte sul suo corpo, ma ne ha forgiato lo spirito e, dopo essere stata adottata all’età di 7 anni dalla logopedista americana, Gay Masters, Oksana ha conquistato il mondo a suon di trionfi, contagiando chiunque con il suo sorriso e la sua positività.
L’abbiamo vista scherzare con Francesca Porcellato, siete amiche?
«Francesca è fantastica, ci siamo conosciute ai Giochi di Sochi 2014, nel fondo. Un paio di giorni fa, ci stavamo allenando, e le ho detto che non mi sentivo molto in forma. Lei mi ha detto che credeva in me, che sono fortissima mentalmente. Mi ha commosso e mi ha dato la forza per raggiungere questi due ori splendidi».
Lei è una delle stelle del firmamento paralimpico, eppure resta molto umile: come fa?
«Sono soltanto fortunata, perché sono cresciuta con niente e quando vieni dal nulla e ti forgi in questo mondo da sola, passando da un orfanotrofio all’altro in continuazione, cominci semplicemente ad apprezzare la vita. Davvero, mi sento una privilegiata a poter inseguire i miei sogni e questo spesso non accade a tante persone»
Sul suo account Instagram «sventolano» due bandiere, quella ucraina e quella statunitense: il suo cuore è unito da questi due Paesi?
«Sono molto orgogliosa di essere ucraina e di rappresentare sia l’Ucraina sia la squadra americana. Devi sempre ricordarti delle tue radici e da dove provieni».
Ci spiega come ha scoperto che la sua disabilità congenita fosse correlata al disastro del reattore di Chernobyl?
«Quando sono arrivata negli Stati Uniti, nel 1997, ho eseguito delle lastre ai denti e il dentista si è accorto che c’erano delle radiazioni all’interno. Poi, non ho un bicipite destro, ho un solo rene, mi mancano alcuni organi e le gambe».
Eppure, ha saputo esaltare il suo corpo, mostrando che cosa sia veramente la bellezza: quanto è stato difficile mostrarsi senza veli in un servizio per la Espn?
«Grazie del complimento -arrossisce - . È stato davvero speciale per me, ero terrorizzata all’inizio, ma ho riflettuto sullo scopo più profondo che c’era dietro a un’iniziativa come questa. Sono cresciuta come una ragazzina molto arrabbiata: odiavo quello che vedevo quando mi guardavo allo specchio e lasciavo che la società determinasse come dovesse sentirmi con me stessa. Volevo dimostrare che i canoni della bellezza non hanno a tutti i costi forme e misure perfette. Sono le imperfezioni a renderci insostituibili. Ogni ragazzino o ragazzina che si sente diverso, deve capire di essere speciale e insostituibile: nessuno può prendere il nostro posto».
Qual è il prossimo obiettivo?
«Ai Giochi invernali di PyeongChang sono stata fortunata per i 2 ori e il bronzo ottenuti, ma non sono riuscita a dare il 100% perché ho gareggiato con un gomito rotto. Sento di avere un lavoro da terminare a Pechino, così come ho fatto a Tokyo rispetto a Rio. Poi, penserò a Parigi e Cortina».
È inarrestabile: come fa?
«Nessun sogno è troppo pazzo e quando lo raggiungi, alza l’asticella e punta al prossimo. Amo la vita, mi sento fortunata a pormi questi traguardi, raggiungerli e vedere di cosa la mente e il corpo umano sono davvero capaci».
Che cosa porterà in valigia di questa Paralimpiade, senza pubblico ma molto seguita in tv e sui social?
«Ogni atleta qui a Tokyo ha dimostrato cose favolose al mondo. Io sono soltanto una dei tanti. Anche se non ci sono spettatori, grazie alla tv, ai social e alle tecnologie moderne si può vedere, rivedere e mostrare a tutti che cosa sono le Paralimpiadi: vogliamo ispirare le nuove generazioni. Devi vederlo, per crederlo».
Anche Bebe Vio vuole diffondere lo stesso messaggio: la conosce?
«Non ho ancora avuto l’onore di incontrarla di persona, ma mi piacerebbe. È incredibile e sta facendo delle cose sensazionali per tutta la nostra società, per le persone con disabilità ma, in realtà, per il mondo intero. È una leggenda, è un’icona. Per cui ne approfitto: "Bebe, incontriamoci!"».