la Repubblica, 2 settembre 2021
Il mistero della strage dei pesci nel Tevere
Carpe, cefali, cavedani, pesci siluro. Da una settimana l’Angelo della morte è passato sul Tevere e ha fatto una strage: tonnellate di pesci galleggiano senza vita sulle sponde e sotto le arcate dei ponti, nei tratti centrali del fiume, da ponte Sant’Angelo a ponte Garibaldi, gli argini più ambiti. I miasmi delle carcasse lasciate lì da una settimana fanno scappare turisti e visitatori dell’Estate romana in banchina. L’onda mortifera è arrivata anche a Fiumicino, alla foce del Tevere. Ma qui il Comune ha già provveduto a far rimuovere 6 quintali di carcasse dalla darsena.A Roma no. I vari uffici sono ancora impegnati a capire a chi tocca. «Come da prassi, è la Regione con la Asl a doversene occupare», sostiene Silvano Simoni, responsabile dell’Ufficio speciale Tevere del Campidoglio. La Asl Rm1 ribatte che l’autorità sanitaria massima della città è il sindaco, perciò spetta al Comune rimuovere le carcasse. E intanto i pesci ristagnano, schifati anche dai gabbiani che si guardano bene dal mangiarli. Oggi arriveranno i primi risultati dei prelievi delle acque effettuati dall’Arpa e dei campioni di pesci prelevati dalla Asl. Ma gli esperti, che già lo scorso anno si sono trovati di fronte a due eventi simili, a giugno e luglio 2020, formulano le loro ipotesi. La Polizia fluviale di Stato, che percorre avanti e indietro il Tevere alla ricerca di indizi, pensa che a scatenare la moria sono state le violente piogge dei giorni precedenti, che hanno trascinato via dalle strade della capitale i metalli pesanti, gli idrocarburi e le altre sostanze inquinanti rilasciate dai motori delle auto, precipitandole tutte nel fiume, fino a uccidere i pesci. Ipotesi sostenuta anche da Bruno Cignini, ora docente di gestione della Fauna urbana a Tor Vergata e già direttore dell’Ufficio Tevere e del Bioparco: «Una bomba chimica – dice – l’arrivo improvviso del temporale di agosto ha dilavato le strade dove si sono accumulati nel tempo i veleni dei tubi di scappamento e li ha riversati nel fiume». Poco condivisa, invece, la tesi del Wwf, dei pesticidi rilasciati dai terreni agricoli a cavallo del Grande raccordo anulare, perché questi si spruzzano a maggio e sarebbe passato troppo tempo tra la causa e l’effetto. Ci sono infine le ipotesi dello sversamento di sostanze tossiche direttamente nel fiume e l’anossia, cioè la mancanza di ossigeno, causata da massiccio materiale organico come terra ed erba trascinato via dalla corrente del fiume gonfio di pioggia e degradato dai batteri. Le indagini della Polizia fluviale produrranno un’informativa a carico di ignoti che verrà consegnata in Procura.
«Il Tevere è sotto attacco su più fronti ed è necessario intervenire sulle cause che scatenano questi disastri», mette in guardia Cristiana Avenali, ex Legambiente e ora responsabile per la Regione Lazio dell’ufficio Contratti di fiume. «Stiamo sperimentando nel nostro vivere quotidiano le conseguenze del mancato rispetto dell’ambiente a tutti i livelli», avvisa Carmen Di Penta, di Marevivo.
Sulle banchine del Tevere non si può stare: naso e occhi non resistono. «Basta. Non si può così. Me ne vado a casa. Ho resistito per un quarto d’ora, da ponte Sisto a Castel Sant’Angelo – racconta Alessio Angiari 39 anni, in bici sulla ciclabile – Sono davvero amareggiato, è una tristezza vedere il Tevere ridotto in questo modo». «Abbiamo passato quattro giorni di inferno. Una puzza terribile – aggiunge Desirée Morelli, 22, barman di Bacco in Tevere, sotto Castel Sant’Angelo – Con la clientela c’è stato un calo enorme. La gente scendeva i gradini, si fermava, annusava la situazione, e risaliva immediatamente. Tavoli completamente vuoti». «Sto qua tutto il giorno. È insopportabile e velenoso. Già l’acqua stagnante puzza di suo, poi con queste carcasse in putrefazione la situazione è insostenibile», si sfoga Riccardo D’Alberto, guardiano del Pier21 sotto ponte Vittorio Emanuele II. E Simone Vacchelli, 33 anni, capitano dei battelli sul Tevere: «Io il Tevere lo navigo tutti i giorni ed è sempre così: il primo acquazzone, dopo la siccità estiva, combina questo casino. I turisti che salgono a bordo si fanno domande, Magari sanno che il Tevere non è profumato, ma non sanno che non è sempre così. Io glielo spiego. Non ci facciamo una bella figura».
Il danno ambientale è gravissimo. «I pesci morti che vediamo a galla sono solo la punta dell’iceberg – spiega Leonardo Tunesi, biologo marino dell’Ispra – Sicuramente il fenomeno ha interessato anche invertebrati e piante acquatiche, con un effetto estremamente negativo sull’intero habitat fluviale, che richiederà tempo per essere ripristinato».