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 2021  settembre 02 Giovedì calendario

Biografia di Francesco Cuomo raccontata da lui stesso



Francesco Cuomo, candidato di Fratelli d’Italia a Roma, è vero che la chiamano "il camerata"?
«Nessuno mi ha mai chiamato così».
Non è conosciuto così negli ambienti degli ultrà della Lazio ?
«Ho tremila soprannomi, ma questo proprio no».
È uscito anche sui giornali, in passato.
«Ma è falso. Faccio il tatuatore da ventidue anni. Ho clienti di ogni etnia che vengono anche dall’estero, oggi c’era un ragazzo di Granada, e per nessuno di loro sono il camerata».
Come spiega quel tatuaggio sul suo avambraccio, Werwolf, il nome della Resistenza nazista?
«È una grande forzatura».
In che senso?
«Nel senso che non è un simbolo delle Ss».
Cos’è allora?
«Werwolf in tedesco significa lupo mannaro, licantropo. Così mi chiamava un amico quando ero ragazzo, perché andavo a letto sempre alle cinque del mattino dopo avere dato una mano ai miei in pizzeria. Me lo feci tatuare con il numero 5 accanto».
Accanto ci sono tre teschi.
«Non sapevo che fosse il nome di una rete clandestina di guerriglieri tedeschi».
Una rete alle dipendenze di Heinrich Himmler.
«Con quel tatuaggio ho girato il mondo, sono stato nei paesi arabi, in America e anche in Germania e non ho mai avuto problemi».
Quindi per lei quello non è un
simbolo nazista?
«Ma le pare che nel 2021 uno come me, che lavora nove ore al giorno, sei giorni alla settimana nel centro di Roma, un padre di famiglia, possa simpatizzare col nazismo? I proprietari del mio locale fanno parte della comunità ebraica, oggi ne abbiamo riso insieme».
Lei è il candidato degli ultrà della Lazio?
«Ho frequentato la curva da ragazzo. È un grande luogo interclassista. Ma ora ho 47 anni e vado solo alle partite di cartello, in tribuna, con le mie due figlie gemelle».
Oggi farete una manifestazione per far tornare lo stadio Flaminio la casa della Lazio.
«Il Flaminio va recuperato, potrebbe rappresentare uno stadio da 35mila posti, più che sufficienti nel calcio moderno. Non dovrà esserlo necessariamente della Lazio, infatti il sit-in è aperto anche ai cittadini tutti, anche ai romanisti».
Era amico di Diabolik, ucciso due anni fa?
«Lo conoscevo. Amici da stadio, più che altro. Ho conosciuto moltissimi tifosi, poi diventati stimati professionisti».
È vero che Diabolik era con lei il giorno dell’assassinio?
«Non è vero. Era passato dal mio studio per farsi un tatuaggio. Ma io quella mattina non c’ero. Ero a Genova».
Che idea si è fatto della sua morte?
«È una bella domanda. Sono curioso di sapere cosa ci sia dietro. Con lui si parlava soprattutto della Lazio».
Nel 2003 venne incriminato per un pestaggio ultrà di un agente Polfer. Com’è finita?
«È una brutta storia, con un lieto fine. La mia fedina penale è immacolata. Oggi sono solo un gran lavoratore, nel tempo libero sto in famiglia o faccio sport. E sono un artista».
Un artista?
«Vengo dai fumetti, insegno alla Dorabruschi, l’Accademia dei tatuaggi. Un artista deve avere una mentalità larga. Credo in certi valori. Sono stato io a portare al Papa un quadro dopo la giornata Polisportiva Lazio».
Perché si candida?
«Per dare un contributo alla mia città».
L’ha convinta Michetti?
«No, lui no. L’ho visto una volta».
È fascista?
«No. Sono un patriota, un tradizionalista. Sono per il crocifisso attaccato in aula a scuola. La domenica vado a messa».
Si è vaccinato?
«Non ancora, a febbraio ho avuto il Covid. Sono finito intubato al San Camillo, avevo 40 di febbre e al saturazione a 87. Ho ancora gli anticorpi alti, poi mi vaccinerò.
Sono per il controllo, in ospedale ho visto la gente morire».
Quindi è favorevole al Green Pass?
«No. Uno che ce l’ha e un altro senza possono viaggiare insieme in metro, ma poi il primo può entrare nel ristorante e l’altro no. Va trovata un’altra soluzione».