la Repubblica, 2 settembre 2021
In Pakistan, nel campus dell’élite talebana
AKORA KHATTAK (PAKISTAN) – Superando Peshawar e seguendo le acque sporche del fiume Kabul si incontra una cittadella caotica di nome Akora Khattak. Appare all’improvviso tra i campi di mais e di canne da zucchero, preceduta da un reticolo di vie sterrate, tuguri costruiti col fango, cave di sassi, venditori di ruote, pastori con le capre e botteghe che hanno sul retro artigianali pompe di benzina. Ad Akora Khattak, nel raggio di un chilometro, si contano dieci moschee e dieci madrasse. La scuole islamica più grossa, la più frequentata, la più sorvegliata si chiama Darul Uloom Haqqania. E tutto è cominciato da qui.
Il passato, il presente e il futuro dei talebani sono legati a doppio filo a questo luogo sperduto nel Pakistan. A Darul Uloom negli anni Settanta ha studiato il mullah Omar, il capostipite, la guida religiosa. Con lui c’era Akhtar Mansur, l’uomo che nel 2015, alla morte del mullah, ha tenuto le redini dell’organizzazione talebana per un anno, prima di essere ucciso da un drone americano. Da ragazzi i due trascorrevano le giornate a imparare a memoria il Corano nelle aule della madrassa, che occupa il bel palazzo dai colori pastello al centro del campus, composto da una moschea, una biblioteca, gli alloggi, un giardino e un campo di cricket segnato sulla sabbia con la polvere di gesso. «Sapere che hanno frequentato la nostra scuola ci rende orgogliosi», sorride Majiid, il 20 enne barbuto che ci scorta nella visita. «Non li abbiamo conosciuti, ma ne parliamo spesso perché sono delle leggende».
Ogni ingresso del campus (ce ne sono tre) è presidiato da uomini col kalashnikov. Il filo spinato impedisce lo scavalcamento delle mura. Sessanta telecamere osservano tutto ciò che si muove all’interno e all’esterno. Non ci sono foto o memoriali del mullah Omar, non ce n’è bisogno: la sua figura è impressa nella mente e nei discorsi di chiunque, da queste parti, ha più di 12 anni.
Siamo potuti entrare solo con l’autorizzazione del mullah Hamid- Ul-Haq, il rettore di questa madrassa che è affiliata al movimento sunnita conservatore Deobandi. In pubblico Hamid-Ul-Haq chiama Osama Bin Laden shahiid, martire. «Abbiamo 3.000 studenti maschi, 400 donne e un migliaio di bambini», spiega la nostra scorta. I maschi e le femmine non si incontrano, sono tenuti in zone separate. I bambini e gli adolescenti vivono in un palazzo di tre piani, insieme ventiquattrore su ventiquattro. Per essere ammessi al programma sin da piccoli (8-10 anni) bisogna avere voti alti. Ogni anno arrivano in media 5.000 domande, ma solo i 300 migliori vengono presi.
A Majiid mancano pochi mesi per completare gli otto anni del ciclo del seminario islamico. «Rimarrò altri due-tre anni per la specializzazione che consente di diventare mufti». I mufti, ossia i sapienti che emettono le fatwa. C’è anche un ufficio per le fatwa, il Darul Ifta, al primo piano dell’amministrazione, accanto all’aula multimediale che ha i computer per lo studio delle lingue: inglese, arabo e cinese.
Il passato dei talebani, dicevamo. Ma anche il presente. Sfogliando il libro degli alunni di Darul Uloom si scovano i nomi di Jalaluddin Haqqani e Sirajuddin Haqqani: lo storico fondatore e l’attuale reggente del famigerato Haqqani Network, il clan terrorista che, con decine di attentati, ha lordato di sangue il suolo di Kabul. Adesso sono alleati coi nuovi padroni dell’Afghanistan.
«Molti leader dello stato maggiore dei talebani provengono dalla scuola», spiega con orgoglio Abdul- Haq-Sani, il figlio del rettore che ha preso il nome del nonno, l’ex senatore pachistano Haq-Sani accoltellato nel 2018 a Rawalpindi. Lo chiamavano «il padre di tutti i talebani». Un mese prima della morte, il presidente afghano Ashraf Ghani lo aveva incontrato, pregandolo di convincere i talebani a tornare al tavolo delle negoziazioni. «Sono nostri studenti anche i delegati che a Doha hanno trattato con gli americani. La madrassa da sempre appoggia politicamente e moralmente i talebani».
Per i gli alunni “illustri” che annovera è stata ribattezzata l’Università della Jihad. «La definizione è scorretta, non siamo personalmente coinvolti con la jihad. Siamo gente di pace, anzi abbiamo giocato un ruolo chiave nel dialogo tra talebani e americani».
Si sono fatte le sette di sera, l’ora di cena. Dopo la preghiera, i mille bambini mangiano insieme seduti a terra. Il bioritmo della madrassa è dettato dalmuezzin e dalle lezioni: sveglia alle 5, dalle 5 alle 11 la testa sul Corano, poi il pranzo, ricominciano a studiare alle 14 fino alle 17, altre due ore di pausa in cui possono uscire o rimanere a chiacchierare in giardino, alle 19 la cena, di nuovo in aula, infine a letto alle 22. Tutto gratis, nessuno paga niente. «Ci finanziamo con le donazioni». Fino a qualche anno fa Darul Uloom era un’enclave senza legge dove non esistevano registri. «Non è più così, la polizia controlla le liste degli iscritti».
Passato e presente dei talebani. Ma anche il futuro. Tra gli alunni c’è un gruppo di cittadini afghani. Leggono gli stessi libri che hanno letto il mullah Omar e Mansour, dormono negli stessi letti, pregano nella stessa moschea, parlano la stessa lingua. «Può essere che diventino leader anche loro, forse...», dice il figlio del rettore. «Non sarebbe certo un problema, noi, ripeto, appoggiamo i talebani».