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 2021  settembre 02 Giovedì calendario

Intervista a Lawrence Osborne

«Un giorno questa ossessione per il politicamente corretto finirà. Personalmente? Mi annoia». Parola di Lawrence Osborne, giornalista cosmopolita e romanziere inglese che da anni vive a Bangkok. Sessantatré anni, è considerato l’erede di Graham Greene, i suoi libri dal Marocco a Bangkok ci fanno sognare ad occhi aperti ma anziché inseguire l’esotico, lui è «attratto dall’aspetto amaro e aspro che ogni luogo possiede». Autore di saggi e otto romanzi, le sue atmosfere ricordano Patricia Highsmith e Francis Scott Fitzgerald. Adelphi lo ha fatto scoprire al pubblico italiano e in questa intervista, l’autore di Cacciatori nel buio e L’estate dei fantasmi (destinati a diventare presto dei film), ricorda Roberto Calasso, «il più grande editore della sua epoca». Il suo terzo romanzo, Nella polvere scritto nel 2012 e pubblicato di recente è ambientato in Marocco: una coppia di inglesi David e Jo – si sta recando ad una grande festa ma investono e uccidono Driss, un ragazzo del luogo, innescando una serie di conseguenze. Dal romanzo è stato tratto il film The Forgiven che verrà proiettato in anteprima mondiale al Toronto Film Festival il 9 settembre, con Jessica Chastain e Ralph Fiennes, diretti da John Michael McDonagh: «Quando li ho visti recitare, mi sono commosso».
Nella polvere ruota attorno a un incidente, con la realtà che irrompe in un clima fiabesco. È successo davvero?
«In parte. È una storia che mi hanno raccontato un giorno a New York. Ci ho rimuginato sopra, ho scritto un romanzo breve che nessuno voleva, ma poi ho pensato ai possibili retroscena che si celavano dietro l’incidente. Il romanzo ha preso una via diversa, con personaggi più corposi. E ora, eccoci qui».
Il tema della colpa e dell’espiazione è centrale. Perché David accetta di seguire il padre del ragazzo ucciso in mezzo al deserto?
«Perché sente di non avere scelta. I padroni di casa insistono che si tolga di mezzo, che segua il padre per riparare, forse per espiare la colpa. David deve andare ma non sa cosa lo attende».
Descrive il modo in cui i camerieri stringono i pugni e osservano il cadavere di Driss, ancora sul sedile dell’auto dello straniero. Esprimono rabbia per il lusso, lo spreco e l’ingiustizia?
«Non del tutto, ci piace schematizzare le cose ma non è mai così semplice. C’è ingiustizia feudale anche all’interno di ogni Paese. La maggior parte delle persone nel mondo non è ossessionata da minuscole manciate di occidentali».
Davvero?
«Gli occidentali fanno questo errore: pensano che tutto riguardi loro. Ma non è così. La loro rabbia è multistrato, nasconde qualcosa sotto la superficie. Sono sentimenti complessi che il film narrerà in modo più cristallino».
Cosa vedremo al cinema?
«The Forgiven tratto da Nella polvere inaugurerà il Toronto Film Festival 2021 e io adoro questo adattamento. I protagonisti, interpretati da Jessica Chastain e Ralph Fiennes, sono stati in grado di catturare quell’atmosfera emotiva che stavo cercando di ritrarre. Non era semplice».
È strano vedere le proprie battute, le proprie pagine, prendere vita e diventare immagini?
«Le dirò, ho visto Jessica e Ralph recitare insieme le battute, in una scena di strada a Tangeri nel febbraio 2020 e sono rimasto molto colpito da quanto sia complesso il rapporto tra uno scrittore e i suoi personaggi... e aggiungo, mi sono commosso».
Lei è considerato l’erede di Graham Greene. Dorme ancora con i suoi pigiama?
«La sua famiglia me li ha portati mentre ero con loro in Toscana, al Castello di Potentino, dove l’ultima generazione dei Greene produce vino. Sono stati molto accoglienti e mi hanno anche supportato nella mia carriera. Sì, sono persone adorabili. Mi hanno regalato due pigiami e due abiti, firmati Brioni. E sa una cosa, mi calzano a pennello».
Non solo cinema, visto che The Glass Kingdom, il suo ultimo romanzo, diventerà una serie AppleTv. Parte del fascino dei suoi romanzi, sono proprio le ambientazioni?
«Luogo e contesto sono tutto, ma il mio processo creativo è inconscio, viene fuori dagli incubi. Non sono mai andato da nessuna parte con un piano preciso per scriverne. Non sono un ricercatore di ambientazioni esotiche. Per quanto strano possa sembrare, avviene l’esatto contrario. Bangkok non è esotica per me. Né lo è il Marocco. Sono attratto dall’aspetto amaro, aspro e fin troppo umano che ogni luogo possiede, inevitabilmente».
Leggere di questi posti al tempo del Covid fa quasi male. Fine dei giochi
«Provo tanta nostalgia di una facilità svanita, persa. Quel mondo è probabilmente scomparso per sempre, o almeno per molti anni».
Cosa ne pensa di questo politicamente corretto che domina la narrativa?
«Inutile, decisamente noioso. Niente di tutto ciò verrà ricordato».
Lawrence, cosa ha significato per lei Roberto Calasso?
«Così tante cose. È stato il primo editore nella mia carriera a prendermi sul serio, gli devo tutto. Avevamo un rapporto rilassato, lontano dall’isteria dell’editoria commerciale. Roberto è stato il più grande editore della sua epoca, anche umanamente, mi ha trattato con gentilezza in un momento critico».
Ovvero?
«Anni fa, a Roma, ho avuto un incidente. Ho rischiato di rimanere sfigurato cadendo dalle scale. Adelphi si è occupata di tutto, mi hanno ospitato all’hotel Locarno per due settimane, aprendo anche un conto spese in un ristorante, Al 59, il locale in cui Federico Fellini era un habitué. Non lo dimenticherò mai».