il Fatto Quotidiano, 2 settembre 2021
Quant’era svizzero l’Afghanistan…
Leggendo i giornali e guardando le tv nelle ultime, drammatiche settimane, ci siamo convinti che l’Afghanistan occupato dagli Stati Uniti e dagli altri eserciti occidentali e amministrato da un governo fantoccio fosse una specie di paradiso: pace, tranquillità, diritti umani, scuole, ospedali, donne al lavoro, vivace comunità Lgbtq+. Un po’ San Francisco, un po’ la Svizzera tedesca, ma in mezzo all’Asia. Tutto rovinato dal ritiro delle forze di occupazione che finora avevano faticosamente portato la civiltà in quelle lande precedentemente inospitali e arretrate. Certo, c’era questa cosa che qui e lì – pareva di intuire – ci fossero intere province, metà e più del Paese, controllate dai Talebani o dagli altri signori della guerra afghani in cui l’occupazione femminile, per così dire, languiva, ma tutto sommato la situazione andava migliorando: altri tre o quattro decenni e avremmo avuto una Silicon Valley nel Pashtunistan. Grande è stata dunque la nostra sorpresa nello scoprire il rapporto al 30 giugno dell’Unama (United Nations Assistance Mission in Afghanistan) sulle vittime civili durante il ventennio d’oro: dal 2009, cioè da quando la missione Onu ha iniziato a contarle, si registrano 19.142 morti e 35.899 feriti (rispettivamente 1.659 e 3.524 nei primi sei mesi del 2021). Nota bene: parliamo solo delle vittime civili e solo di quelle che Unama è riuscita a verificare autonomamente, il che significa che morti e feriti sono stati molti, molti, molti di più. Per i tassonomici: quest’anno il 25% delle vittime censite sono state causate dalle forze pro-governative (spesso bombardamenti), il 39% dai Talebani, il 16% da altre forze di opposizione, il 9% dall’Isis, l’11% da fuoco incrociato. Alle vittime andrebbero aggiunti almeno gli oltre 200mila afghani ancora profughi nel loro stesso Paese.
Avere un governo di tagliagole ignoranti e bigotti è una bruttissima cosa (anche se persino loro hanno qualche fan), ma quei morti e le loro tombe dovrebbero ricordare a tutti di che lacrime grondi, e di che sangue, la guerra, anche quella venduta come buona. Un fortunato slogan del passato diceva “combattere per la pace è come fottere per la verginità”: se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato.