il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2021
Ascesa e declino del Château de l’horizon
Il penultimo film di Robert Guédiguian (La casa sul mare, 2018) traccia un potente affresco della condizione umana a partire dalle crisi che percorrono la semplice famiglia gravitante attorno a una magione affacciata sul Mediterraneo, in una pittoresca calanque della Costa Azzurra: storie di gente vera e modesta, ambientate nell’inverno ostile dei venti e dei sentimenti.
Anche il libro di Mary Lovell, Côte d’Azur – 1920-1960: gli anni d’oro della Riviera francese (Neri Pozza), romanzato ma solido (e ben tradotto da Maddalena Togliani), è dedicato a una casa sul mare in Costa Azzurra, promossa a luogo-simbolo del guazzabuglio umano: ma il lussuoso Château de l’Horizon tra Cannes e Juan-les-Pins, superba invenzione commissionata nel 1930 dall’attrice americana Maxine Elliott all’architetto Barry Dierks, fu per trent’anni il crocevia estivo dei destini di un mondo ben diverso, fatto di miliardari e teste coronate, di dive e playboy, di artisti e figure del jet-set internazionale. Fiumi di denaro e di tradimenti, promiscuità ed endogamia, scandali e ripicche, capricci e pentimenti: la jeunesse dorée inglese che a partire dal 1925 affolla la Riviera, costituisce un mondo chiuso, eticamente declive, verso il quale è difficile provare moti di simpatia: per una delle habituées di queste stanze, Doris Delevingne (bisnonna della nota modella pansessuale Cara; fu per un breve tratto, prima di Peggy, proprietaria del Palazzo Venier dei Leoni a Venezia), “il vero castello di una donna inglese è il suo letto”. Al di là di squallidi opportunismi e intemperanze erotiche, la rilevanza storica di quel milieu è indubbia, se è vero che all’Horizon transitarono Noel Coward e Cole Porter, Francis Scott Fitzgerald e Somerset Maugham, Cecil Beaton e l’Aga Khan, Lloyd George, Wallis Simpson e l’effimero re Edoardo VIII. E, su tutti, Winston Churchill, intimo amico di Maxine, il quale nell’epoca del suo apparente declino politico vi trascorse ripetuti soggiorni dedicati alla pittura e alla scrittura, riflettendo sulla situazione internazionale e maturando quelle lucide convinzioni che lo portarono nel 1940 a essere chiamato a salvare il Regno Unito e l’Occidente.
La parte migliore e più sorprendente del libro della Lovell è la prima, ovvero il romanzo di Maxine Elliott, nata Jessie Dermot in un paesino del Maine e capace tramite l’intelligenza, le doti di recitazione, una serie di legami fortunati o ben scelti, e un’attenta amministrazione delle proprie finanze (fu aiutata in questo anche dal grande banchiere newyorchese John Pierpont Morgan, suo amante per qualche tempo), di fare fortuna, inserirsi nella haute di oltreoceano, dare le feste più belle della Belle Époque nel suo maniero inglese di Hartsbourne, e avere un flirt con l’incontenibile Edoardo VII. L’ascesa e il declino di questa donna, piegata dalla morte sul fronte occidentale del suo grande amore – il tennista neozelandese Tony Wilding, di 15 anni più giovane di lei –, ma capace di finanziare e organizzare in piena guerra una chiatta di aiuti per gli sfollati del Belgio, e poi di risorgere a nuova vita in Francia negli anni 20 inventandosi per dieci anni (morì nel 1940) la residenza più “in” della Riviera, offrono un taglio particolare su quell’universo che Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald consacrò in forma pienamente drammatica.
Dopo la Seconda guerra mondiale, diradatisi gli Inglesi (ma non Churchill, che tornerà in Riviera), lo Château de l’Horizon verrà acquistato da Aly Khan, il figlio del grande Aga Khan la cui tomba troneggia ancora oggi sopra Assuan in Egitto: fascinoso e ricchissimo, Aly trasformerà la Riviera nel teatro d’elezione delle sue infinite e compulsive conquiste femminili, e in quello della storia d’amore con Rita Hayworth, culminata in fastose nozze a Vallauris per la gioia dei paparazzi. Il lettore italiano sentirà qui aria di casa: per seguire la Hayworth, Aly Khan lasciò Pamela Digby Churchill (già sposa di Randolph e nuora di Winston), la quale si consolò avviando una duratura relazione con Gianni Agnelli, emerso da uno yacht proprio sotto l’Horizon nell’estate del 1948; quattro anni più tardi, Pamela lo avrebbe trovato a letto con un’altra nella loro nuova villa in Riviera, inducendolo a una fuga precipitosa in auto culminata nello schianto in cui Agnelli rischiò di morire, rimanendo claudicante a vita. Ma per l’Horizon il fallimento del “matrimonio del secolo” fu l’inizio della fine: congedata la Hayworth, anche in seguito alle sue sempre nuove e scandalose avventure Aly fu scartato dal padre come successore nel ruolo di guida spirituale degli Ismailiti, a vantaggio di suo figlio Karim; morì in un incidente d’auto nel 1960. Vent’anni dopo fu proprio Karim a vendere la magione al re saudita Fahd (che peraltro la snobbò): nel frattempo, infatti, aveva scoperto la Costa Smeralda e tradito il fascino fané di Cannes e Antibes per inventarsi la nuova opulenta movida di Porto Cervo e dintorni. Per chi cerchi emozioni vere, suggerisco comunque Guédiguian.