Linkiesta, 1 settembre 2021
È il primo settembre il nostro vero capodanno
Da oggi non mangio più carboidrati. Anzi, non bevo più alcolici. Anzi, faccio le scale invece di prendere l’ascensore. Anzi, non faccio più inutilmente tardi la sera guardando serie bruttissime delle quali drogarsi senza un vero perché. Anzi, leggo finalmente Middlemarch, ottocentottanta svelte pagine scritte centocinquant’anni fa che s’impolverano nella libreria della camera da letto dal primo capodanno in cui mi proposi di leggerlo, il primo settembre di sette anni fa.
C’è una ragione se capodanno è il primo settembre e non il primo gennaio, anzi ce ne sono molte.
Una è il perpetuo infantilismo di noi adulti d’oggidì, il cui cervello s’è fermato a quando a settembre cominciava l’anno scolastico: che m’importa dei botti del 31 dicembre, capodanno è quando si comprano i quaderni nuovi.
Un’altra è che è tecnicamente impossibile mantenere i buoni propositi dal primo gennaio. Prendiamo il Dry January, usanza inglese che abbiamo importato supinamente come spesso ci accade. Ho amiche che a gennaio si astengono dagli alcolici, e se accade ci sia una cena mica trasgrediscono, no, ti dicono che un mese senza dev’essere un mese di fila, mica va bene bere il 15 gennaio e poi ricominciare ad astenersi dal 16 allungando magari fino al primo febbraio. È a quel punto d’uopo far notare che la sera del 31 dicembre sono uscite, sono andate al solito squallido veglione al quale si è tenuti a far tardissimo, e quindi hanno bevuto fino alle cinque di mattina del primo gennaio: possono davvero dire d’essersi astenute dall’alcol per tutto il mese?
I simboli sono simboli, e, come non si comincia una dieta di martedì, certo non puoi dedicarti ai buoni propositi dal 2 gennaio. (Quando ancora m’intrattenevo con le diete, ne cominciai una di martedì. Stavo andando benissimo, finché un amico stronzo mi fece vedere non so che ricerca – probabilmente dell’università di Tubinga – secondo la quale le diete iniziate di martedì hanno più probabilità di fallire. Smisi subito: non vorrei mai smentire uno studioso).
A settembre, invece, nessuna festa comandata boicotta il tuo voler essere ligia a nuove abitudini, nuovi propositi, nuove vite che sei decisa a vivere.
A parte quei quattro disgraziati che hanno la sventura di dover andare al festival di Venezia, nessuno ha smanie di mondanità. Magari una cena in cui ci si ritrova dopo le vacanze, sì, ma tutti frigneranno d’aver mangiato e bevuto come bisonti, in villeggiatura, e che quindi per carità stasera solo sedano scondito.
Settembre è troppo presto per i panettoni: arriveranno nei supermercati a fine mese; una volta la vita era più facile, e i buoni propositi anche: i panettoni non si vendevano prima del ponte di Ognissanti, e per allora ogni buon proposito era ragionevole fosse andato in vacca, ma voleva comunque dire aver fatto vita sana per due mesi – due mesi di vita sana su dodici sono un ottimo traguardo.
Settembre è troppo tardi per i gelati: le prime piogge, l’aria condizionata da spegnere, il vino che anche se rosso non sembra un crimine contro l’umanità e la di essa temperatura corporea.
Settembre è perfetto per ciò che vorremmo essere: scattanti, e persino intellettuali.
Vi vedo, che vi ripromettete d’essere dei nuovi voi stessi. Più a fuoco, più sereni, più in cinquina per il Nobel, o almeno più consapevoli che il Nobel non funzioni a cinquine.
Avrete gusti più presentabili, siete già pronti a lodare il Sorrentino di Venezia e a fingere che non vi faccia ridere Brignano, a smettere di comprare Chi o almeno a nasconderlo dentro il New Yorker, a usare costruzioni sintattiche neutre anche a costo di dover tacere moltissime volte per difficoltà nelle coniugazioni dei participi.
Avrete comportamenti più salubri, vi comprerete il tabacco perché si sa che a rollarsi le sigarette se ne fumano di meno che a sfilarle dal pacchetto già fatte, inizierete ogni pasto con un’insalata, si sa che riempie e poi lo spaghetto ti va meno, sostituirete al trebbiano macerato la coca zero, anche se certo ammazza la vongola ma tanto la vongola in autunno chi la mangia più, si sa che gli allevamenti vengono percepiti chiusi dal 31 agosto.
Sarete voi stessi – non sia mai che dobbiate alterarvi, l’equilibrio del pianeta ne soffrirebbe – ma dei voi stessi più sani, più lucidi, pronti a vivere più a lungo.
Ieri sera a mezzanotte, per accogliere come merita questo giorno che comincia a settembre, io sono andata alla parete Adelphi della libreria e, schifando l’abitudine di guardare qualche ottusa serie in streaming, ho preso gli Appunti di Elias Canetti. Al rigo «Uno che resta in vita per la sola ragione che è stato offeso» ho capito d’aver fatto la scelta giusta, ero sempre stata un’intellettuale ma non lo sapevo, ero sempre stata una lettrice forte ma mi distraevo, per fortuna questo capodanno di settembre mi aveva riportata da me.
«Tutte le opere che ha annunciato, le ha annunciate solo per scriverne delle altre»: ma è evidente che Canetti parla di me, mi pizzina, lascia perdere che questo appunto l’abbia scritto quand’ero in terza elementare, è evidente che già allora annunciavo temi sulle mie vacanze che poi non consegnavo alla maestra entro la scadenza prevista dal contratto editoriale, è evidente che Elias mi sa, che è spuntato dallo scaffale per dirmi che mi tiene d’occhio e non vuole che tradisca i miei buoni propositi.
Poi mi è cascato l’occhio su un appunto del 1961. Mancavano una cinquantina d’anni a Instagram, e c’era questo rigo qui: «A ogni generazione, una sola persona che muore, come monito». E quindi ho capito cosa mi stava dicendo la vita. Che l’unico buon proposito che devo fare, per questa nuova me che comincia a settembre, è di evitare i coccodrilli social. Di non mettere foto col morto del giorno. Di astenermi dai riti funebri in 280 battute, dalle istantanee col caro estinto, dal rievocare quanto mi avesse cambiato la vita, sì, ma soprattutto quanto l’avessi cambiata io a lui, e sono sicura che gli mancherò, ora che è sottoterra.
Adesso che ho il proposito giusto, l’anno può cominciare.