La Stampa, 1 settembre 2021
Intervista a Giovanni Malagò
«Quel primo agosto i pianeti si sono allineati, neanche lo sceneggiatore migliore al mondo sarebbe stato capace di immaginare una trama simile. Io ero in uno stato di felicità assoluta. Inebriato». Quel primo agosto Gianmarco Tamberi vince l’oro olimpico nel salto in alto; 11 o12 o 13 minuti dopo, il tempo sa essere liquido, Marcell Jacobs stupisce il mondo e artiglia i 100 metri. La Gara.
Il numero uno del Coni Giovanni Malagò, ora che i Giochi sono nella storia, rivive i brividi di un’edizione olimpica indimenticabile per l’Italia: 40 medaglie, 10 ori, 10 argenti e 20 bronzi.
Presidente, esisterà per sempre uno sport italiano prima e dopo Tokyo?
«L’avevo detto alla vigilia che, a prescindere dai risultati, lo sport mondiale non sarebbe mai più stato lo stesso dopo una simile esperienza. Medaglie insospettabili, flop a sorpresa. È andata come previsto».
Adesso non dica che aveva ipotizzato anche i 10 ori?
«Nelle mie previsioni c’erano due ori certi: Busà nel karate e la coppia Tita-Banti nella vela. E li ho centrati. Poi avevo messo sul podio Tamberi e la staffetta. Certo non l’oro di Jacobs. Ma è stato bravo, lui come Tamberi, a salire sul treno giusto al momento giusto».
A proposito di treni: dopo un’estate simile le hanno chiesto di salire su quello della politica?
«È successo in passato, ma non le dico chi mi ha cercato. Io sono stato molto chiaro con chi mi ha eletto presidente e con il Cio di cui sono membro: non sarei serio se adesso lasciassi per la politica».
Però quell’incontro con Berlusconi in Sardegna?
«Ci siamo sentiti prima dei Giochi. Poi mi ha invitato a Porto Rotondo, io ero in barca da quelle parti. Mi ha mostrato e descritto con una passione incredibile il suo meraviglioso giardino…».
E poi le ha chiesto di candidarsi?
«Affatto. Non abbiamo mai parlato di politica».
Scenderà mai in campo?
«Non credo. Il mio futuro resta nello sport».
In compenso la politica non è rimasta insensibile alle sue parole sullo ius soli sportivo. La ministra Lamorgese, proprio a "La Stampa" ha detto di condividere la sua posizione. Quanto ci vorrà perché lo ius soli da terreno di scontro politico diventi invece il tema per un confronto sulle conquiste civili?
«Io ho parlato di Ius soli sportivo e credo di averne le competenze. Chi non capisce alzi il telefono e chieda alle federazioni quanto è complicata e lunga e piena di insidie la procedura per diventare cittadino italiano. Una via crucis, per questo bisogna anticipare i tempi. Se un atleta è bravo perché deve aspettare i 18 anni ad avviare la pratica?».
Salvini non l’ha presa bene.
«Con Salvini ho un rapporto importante, non credo che abbia da ridire sullo Ius soli sportivo. Sul resto ho le mie idee, ma me le tengo. Mi dà fastidio che mi abbiamo messo in mezzo, avrei fatto il politico altrimenti».
Che effetto le fa la deriva presa dalle proteste no vax?
«Posto che non è solo una situazione italiana, sono allibito. Incredulo. C’è una fetta di popolazione che per nessun motivo al mondo vuole farsi imporre le cose, diciamo che hanno un concetto esasperato della democrazia. Con i nostri atleti abbiamo cercato di trasmettere un messaggio di salute e di sicurezza, impossibile non capirlo. Ripeto, sono allibito».
Nel 2021 abbiamo scampato l’anatema del Cio e la diaspora SuperLega. Pericoli accantonati definitivamente?
«Evitata una figuraccia clamorosa con il Cio, ora dobbiamo definire un sistema. In tre anni e mezzo, lo sport ha avuto tre referenti in politica. Giorgetti, Spadafora e ora Vezzali. Le sembra normale?».
Sport e salute sopravviverà?
«Ha tutte le carte in regola per andare avanti. Ma ognuno nel proprio ruolo».
E con il calcio ha fatto pace?
«Sono stati fenomenali nel ripartire. Ma avevo detto che una delle esigenze sarebbe stata quella di mettere in sicurezza i conti. E invece diminuiti i ricavi, in quanti hanno abbassato i costi? In pochi. Per tutti gli altri è intervenuto Pantalone. Che altrove porta la tunica. Da questo squilibrio è nata la maldestra accelerazione sulla Supelega, un progetto altrimenti degno di attenzione».
«In futuro vorrò fare il presidente del Coni»: parole di Bebe Vio. Sarà lei a succederle?
«Bebe è straordinaria. Mi chiama Giovannino, l’ho sentita subito dopo l’oro e nemmeno pensavo mi rispondesse. Sono sempre stato in contatto con lei, sapevo dell’operazione che ha subito e che ha tenuto nascosta. Bebe può davvero fare tutto nella vita».
Quaranta medaglie vinte a Tokyo: ma quante perse?
«Posto che molte sono arrivate in modo inaspettato, è ovvio che qualche delusione c’è stata. Aver portato quattro nazionali ai quarti di finale e averle perse tutte in colpo solo non mi ha fatto piacere. L’unico a uscire a testa alta è stato il basket».
Il messaggio di uno dei medagliati che più l’ha colpita?
«Tamberi mi ha detto: "senza di te non sarei mai diventato campione". E sa perché?».
Dica
«Perché ho fatto di tutto affinché la fidanzata stesse con lui nelle due settimane precedenti la gara. Il cavallo di razza va assecondato. Ho fatto così anche con Federica Pellegrini, non mi pare di essermi sbagliato. Difficile che il campione ti tradisca se lo responsabilizzi».
Con Valentina Vezzali, sottosegretaria allo Sport, ci sono stare un po’ di frizioni. Vi siete chiariti?
«Valentina conosce bene le nostre dinamiche, impossibile non averla dalla nostra parte. Forse quando assumi certi incarichi devi metterti una divisa. Ma la pelle di Valentina è la nostra».
Il 4 febbraio 2022 cominceranno a Pechino i Giochi Invernali. E faremo ancora i conti con la pandemia. Sicuri di gareggiare?
«Sì. Anche se nessuno di noi tra dirigenti, allenatori o atleti è andato in Cina per vedere la situazione. Di test event ancora non si parla. Tokyo iniziammo a prepararla sul posto tre anni prima, qui siamo al buio. Per questo aspettiamoci risultati sorprendenti».
Il mondo è in ansia per la sorte del popolo afghano: che cosa può fare il Coni per gli atleti di quel Paese?
«Abbiamo già parlato con il governo Draghi: ci ha dato carta bianca perché le nostre federazioni offrano aiuti e accoglienza agli atleti in fuga».
«Il bilancio delle medaglie azzurre a Tokyo, parametrando discipline e numero di atleti partecipanti, è il migliore da Atlanta ’96 ma il quinto in assoluto»: così Carlo Cottarelli su queste colonne a Olimpiadi appena terminate. Scommetteremmo di non trovarla d’accordo?
«Ricordo solo a Cottarelli che prima di Atlanta non c’erano i minimi di qualificazione, da allora andare ai Giochi è molto più dura. Ecco perché Tokyo resta un’impresa mai vista».