La Stampa, 1 settembre 2021
Tutti i clan dei talebani
C’è un passaggio dei negoziati di Doha utile a capire le criticità con cui i taleban potrebbero essere costretti presto a fare i conti, data la loro natura tutt’altro che monolitica. Il 5 settembre 2020 Abdul Hakim Ishaqzai viene nominato nuovo capo negoziatore dei colloqui di pace in Qatar. La designazione è parte di un rimescolamento nella squadra di 21 membri in vista dell’inizio del dialogo intra-afghano successivo all’accordo di febbraio 2020 tra taleban e Stati Uniti. Ishaqzai, ultraconservatore vicino al leader Haibatullah Akhunzada, serve infatti alla leadership centrale per riaffermare il suo controllo diretto sui negoziati stessi. Sino a quel momento, agli incontri con la delegazione americana guidata dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo si erano visti il mullah Abdul Ghani Baradar, co-fondatore dei taleban e capo dell’ufficio politico a Doha, considerato un moderato, l’alto portavoce Suhail Shaheen e Sher Mohammad Abbas Stanekzai col ruolo di capo delegazione. Il 5 settembre 2020 quest’ultimo viene degradato, pagando così i suoi contrasti con Baradar e il fatto di essere «un uomo del Pakistan». Ishaqzai, al contrario, è assai rispettato per le sue credenziali religiose, essendo assieme ad Akhundzada il religioso più anziano dei miliziani delle madrasse.
«Questo è stato importante perché ai taleban piace evocare una giustificazione religiosa su ciò che fanno», spiega Michael Semple della Queen’s University di Belfast. Ishaqzai si è laureato e ha insegnato presso il seminario islamico Darul Uloom Haqqania (per questo è anche conosciuto con l’alias di Abdul Hakim Haqqani, sebbene non abbia nulla a che vedere col temuto clan Haqqani) nel Nord-Ovest del Pakistan, noto come «università del jihad». Vi hanno studiato, tra gli altri, il Mullah Omar e Jalaluddin Haqqani, capostipite dell’omonima famiglia che vanta relazioni con Al Qaeda. La reputazione di Ishaqzai tra i talebani è rafforzata anche dal suo luogo di nascita, venendo lui dal distretto di Panjwai, nella provincia di Kandahar, considerato la casa spirituale dei talebani. «Ciò significa che rappresenta la leadership originale e il nucleo elettorale dei talebani, i religiosi delle tribù pashtun della grande regione di Kandahar in Afghanistan», afferma Semple. La sua nomina trasmette «rassicurazioni» a tutto il gruppo dirigente (Haqqani compresi) tanto che con la rinascita dell’Emirato a lui viene assegnato il ruolo di capo della Commissione per gli affari politici, la più potente delle almeno 15 commissioni con cui Kabul pretende di governare i taleban.
La domanda da porsi, ed è qui la seconda criticità del movimento delle madrasse, è se la leadership è tenuta assieme dal «collante Ishaqzai», sino a che punto i reduci di Doha controllano i combattenti sul campo? Lo stesso portavoce Zabiullah Mujahid ha descritto una struttura di leadership in cui la Commissione per gli affari politici non ha alcun controllo diretto, specie nelle periferie, sui combattenti, ma è solo parte di quell’apparato di commissioni e uffici che rappresentano una sorta di gabinetto di ministri sotto il leader supremo Akhundzada.
A sovrintendere l’intera catena di comando militare del movimento fino ai livelli provinciali e distrettuali è invece la Commissione per gli affari militari diretta dal Mullah Mohammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar, e da Sirajuddin Haqqani, capo della rete Haqqani. Il primo è responsabile di 21 province nella cosiddetta zona occidentale, l’altro sovrintende alle gestione in 13 province della zona orientale. Salendo la catena di comando dal livello distrettuale, ogni capo sul campo di battaglia risponde a un comando provinciale. Ci sono sette «circoli» regionali che sono responsabili ciascuno di almeno 3 comandi provinciali. Infine, a sovrintendere a quei «cerchi» regionali ci sono i due capi della Commissione affari militari che assieme a Baradar sono anche i luogotenenti di Akhundzada. Il punto è che fra i due c’è un attrito considerato estensione della lunga lotta per il potere basata su strutture tribali pashtun.
Da una parte c’è il figlio di Omar con seguaci nell’Afghanistan occidentale e meridionale e alleato della potente Shura di Quetta. Dall’altra c’è Haqqani con seguito tra i comandanti dell’Afghanistan orientale e del Pakistan, e con forti legami con la Shura di Peshawar nel Nord-Ovest del Pakistan e di Miran Shah Shura nella regione tribale del Nord Waziristan. Oltre al fatto, spiega lo United States Institute of Peace, che durante la lunga campagna militare si è sviluppato un sistema di governo ombra dei combattenti, con cui i comandanti militari di diverse fazioni avevano facoltà di nominare «funzionari» di riferimento nel territorio sotto il loro controllo. Producendo così regole diverse «formate dalle preferenze dei singoli capi, dalle tradizioni locali e dalla forza dei talebani nella comunità». L’interrogativo da porsi è quindi se ora la leadership politica opterà per il rafforzamento dei meccanismi di controllo e comando dall’alto, o si decentralizzerà in modo da vedere feudi più allineati a livello regionale di quanto non lo siano a livello nazionale.