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 2021  agosto 31 Martedì calendario

Pyongyang ha riacceso il reattore di Yongbyon

La minaccia nucleare nordcoreana torna nell’agenda internazionale e americana dopo un silenzio relativamente lungo. L’ultimo rapporto annuale dell’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica dell’Onu, ha evidenziato infatti una ripresa delle operazioni del principale reattore nucleare nordcoreano, 5 megawatt di potenza, nel complesso di Yongbyon, a Nord della capitale Pyongyang. Il reattore, della cui attività non si avevano notizie dal dicembre 2018, produce plutonio, uno dei due “ingredienti” chiave per costruire la bomba atomica insieme all’uranio arricchito (pure prodotto a Yongbyon). 
«Dall’inizio di luglio 2021 – si legge nel rapporto – sono arrivate indicazioni compatibili con il funzionamento del reattore, incluso lo scarico dell’acqua di raffreddamento»; indicazioni che si aggiungono a quelle, rilevate tra febbraio e luglio, di attività nel laboratorio radiochimico di Yongbyon, usato per fornire calore alla struttura di ritrattamento delle barre di combustibile esaurito (da cui, appunto, viene estratto, il plutonio). Il rapporto dell’Aiea specifica che cinque mesi, la durata rilevata del funzionamento dell’impianto e del laboratorio radiochimico nel 2021, sono un periodo significativamente più lungo di quello osservato in passato, durante semplici attività di trattamento o manutenzione dei rifiuti. «La continuazione del programma nucleare della Corea del Nord – è pertanto la conclusione – è una chiara violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ed è profondamente deplorevole».
L’Aiea non ha accesso a Yongbyon né ad altri siti nucleari nordcoreani dal 2009, quando il regime di Kim Jong-un decise di espellere i suoi ispettori. Da allora l’agenzia Onu utilizza soprattutto immagini satellitari per monitorare gli sviluppi del programma nordcoreano che, peraltro, non poggia più solo sul complesso di Yongbyon, un tempo fiore all’occhiello e unica fonte di produzione del materiale fissile.
All’inizio del 2019, durante un vertice con l’allora presidente Usa Donald Trump, Kim Jong-un propose di smantellare Yongbyon in cambio di una consistente riduzione delle sanzioni internazionali sul programma nucleare e missilistico nordcoreano, ma Trump rifiutò con l’obiezione che il complesso era ormai solo una parte del programma di Pyongyang. Anche i successivi colloqui non produssero risultati e la Corea del Nord ha da allora continuato ad arricchire il suo arsenale atomico, forse con l’intento di accrescere il suo potere negoziale in caso di ripresa dei colloqui con una nuova amministrazione Usa (oggi gli esperti stimano che il Paese abbia materiale per produrre almeno sei bombe all’anno).
La ripresa delle attività del reattore e del complesso – attività relative alla produzione di plutonio, che gli esperti descrivono come quelle più facilmente identificabili via satellite rispetto all’arricchimento dell’uranio – potrebbe dunque anche essere un primo passo, seppure come da tradizione aggressivo, per tornare al tavolo delle trattative.
Più banalmente potrebbe invece essere inquadrata nell’ambito della tensione permanente non solo nei confronti degli Stati Uniti, ma anche della Corea del Sud. Di recente Pyongyang aveva minacciato di espandere il suo programma nucleare se Washington avesse continuato la sua politica «ostile» nei confronti del Nord, con probabile riferimento non solo alle sanzioni, ma anche alle periodiche esercitazioni militari congiunte con Seul; e ancora domenica, pochi giorni dopo la conclusione di un nuovo round di quelle esercitazioni, una nota del ministero degli Esteri di Pyongyang ha sottolineato che «l’esercizio della guerra invasiva da parte di Usa e Corea del Sud ci ha fortemente ricordato la necessità di continuare a rafforzare la nostra difesa nazionale e le nostre capacità preventive, abbastanza forti da far fronte e rimuovere le minacce esterne».
L’amministrazione Biden, tutt’altro che desiderosa di aprire un nuovo fronte dopo quello afghano, ha risposto con cautela all’ultimo report Aiea che – ha sottolineato una fonte – «evidenzia la necessità urgente di dialogo e diplomazia per arrivare alla completa denuclearizzazione della penisola».