Il Sole 24 Ore, 31 agosto 2021
Via italiana al nucleare con capitali dei privati
Nucleare pulito e privato. Newcleo, la nuova società fondata dall’imprenditore scienziato Stefano Buono, si presenta sul mercato internazionale con un progetto industriale nell’energia atomica che ha l’ambizione di essere disruptive sotto tre punti di vista: nelle tecnologie, nelle strategie e nell’impatto ambientale. Andiamo con ordine: intorno a questo progetto, l’imprenditore italiano – già impegnato al Cern di Ginevra sotto la guida di Carlo Rubbia e già fondatore dell’unicorno biotech Advanced Accelerator Applications – ha chiuso la prima raccolta dei capitali, pari a 118 milioni di dollari. «All’inizio – spiega al Sole 24 Ore Buono, amministratore delegato della Newcleo – pensavo di partire con un capitale sociale di 20 milioni di dollari e una mia quota personale del 50 per cento. Ho mandato cinquanta mail ad altrettanti potenziali investitori raccontando semplicemente la mia idea. Di azionisti, ne ho trovati in poco tempo centosessantasette. La mia quota sarà quindi del 10 per cento. Mi sta bene: ho sempre creduto nella public company».
La Newcleo ha acquisito la Hydromine Nuclear Energy, assorbendone così la dote di brevetti nel campo nucleare: Luciano Cinotti, ricercatore di Hne e anch’egli già collaboratore di Rubbia, entra nella nuova azienda come Chief Scientific Officer insieme al Chief Operating Officer e Ceo per l’Italia Elisabeth Rizzotti.
L’idea è quella di progettare e costruire – secondo un modello di dimensioni tecnoindustriali modulari e in funzione di grandezze energetiche variabili – reattori nucleari che adoperino in maniera pulita la fissione, in cui non si possano verificare incidenti, non si producano rifiuti radioattivi e non si generino scorie trasformabili in armi. È l’evoluzione delle linee di ricerca del Cern di Rubbia degli anni Novanta e la loro trasformazione in un progetto industriale. A condizioni storiche diverse. Con i progressi scientifici avvenuti negli ultimi trent’anni: progressi soltanto teorici, perché il disastro di Chernobyl del 1986 ha reso questo segmento dell’innovazione una foresta di pietre e di paure, in cui di concreto si è fatto molto poco. Le diffidenze verso il nucleare ora si stanno gradualmente superando grazie alla riduzione dei rischi e alla consapevolezza che l’atomo “buono” può diventare essenziale per contrastare la crisi climatica. Riflette Buono: «Alla fusione nucleare si arriverà, ma chissà quando. Ci sono invece elementi favorevoli alla gestione dell’energia da fissione: i reattori al piombo di quarta generazione, l’utilizzo degli acceleratori delle particelle e, sul lungo periodo, il ricorso al torio come combustibile. Ci piacerebbe che Rubbia, che per molti di noi è stato un maestro, facesse parte del comitato scientifico».
Oltre all’elemento tecnologico, c’è anche una seconda significativa novità: il capitale di rischio è tutto di privati. L’energia atomica è storicamente appannaggio della mano pubblica. In Newcleo c’è un nocciolo duro di investitori già coinvolti in Advanced Accelerator Applications: fra gli altri Benedetto De Benedetti, B&E Equities, Barel Meir, Claudio Costamagna, Paolo Merloni e la famiglia Petrone. Inoltre, in questo primo gruppo di azionisti, compaiono Exor, la famiglia Malacalza, Jari Ovaskainen (finlandese molto attivo nell’energia), Ian Lundin, Ruben Levi, Manfredi Lefebvre, Philippe Sarrasin e le famiglie Bormioli e Rovati. Dunque, è italiano, scandinavo e israeliano il profilo di investitori che hanno creduto al progetto di Stefano Buono, che ha appunto nel suo track record la vendita di AAA nel 2018 a Novartis per 3,9 miliardi di dollari.
«Entro cinque anni – dice Buono – avremo il prototipo industriale del primo piccolo reattore raffreddato a piombo. Vorremmo che sia a Brasimone, sugli Appennini, dove c’è il centro di ricerca dell’Enea, con cui stiamo studiando un accordo strategico. Il secondo reattore sarà funzionante. E potrebbe essere in Gran Bretagna. Entro sette anni, vorremmo avere la prima macchina commerciale da vendere. La caratteristica è la modularità: si parte da 10-20 megawatt, ma si può arrivare a 200 megawatt».
In Gran Bretagna c’è la sede societaria con la finanza, la tesoreria, l’amministrazione e la comunicazione. In Italia, Torino ospita il centro di ricerca: «Abbiamo già assunto una quarantina di ingegneri e fisici – spiega Buono – entro la fine anno saliremo a cento. Esiste una grande scuola italiana, che sotto il profilo industriale ha avuto il suo perno, prima del referendum del 1987, nell’Ansaldo Nucleare e nella Nira, la Nucleare Italiana Reattori Avanzati. E di laureati in ingegneria nucleare nei politecnici di Torino e di Milano e alle università di Pisa e di Roma che vanno a lavorare all’estero. Stiamo incontrando, non solo presso gli investitori, ma anche presso questi specialisti che potrebbero rientrare con soddisfazione in Italia, un grande interesse per la nostra impresa per un nucleare privato e pulito».