il Fatto Quotidiano, 31 agosto 2021
Soldi pubblici ai giornali, la furbata del Secolo d’Italia
Una legge del 2017 approvata ai tempi di Renzi e Gentiloni, vieta allo Stato di dare soldi ai giornali dei movimenti politici. Il Secolo d’Italia, che ha nel suo organico come giornalista in aspettativa parlamentare Giorgia Meloni, ha continuato a incassare il contributo anche se è edito da una società che nel suo statuto fino al maggio 2019 proclamava di pubblicare ‘un organo di movimento politico’. La società editrice Secolo d’Italia Srl è di proprietà al 100% della Fondazione Alleanza Nazionale, erede del patrimonio immobiliare e del giornale dell’omonimo partito. An non si presenta da tempo alle elezioni quando nel suo statuto la Srl dichiara che Il Secolo d’Italia è “organo del movimento politico Alleanza Nazionale”. Questo fino al maggio 2019 quando la clausola dell’organo sparisce.
La legge del 2017, per come è stata scritta (“Non possono accedere al contributo le imprese editrici di organi di informazione dei partiti, dei movimenti politici…”), sembrerebbe tagliare fuori la Secolo d’Italia Srl fino a quella data. Eppure il giornale ha continuato a incassare i contributi: 780 mila euro nel 2018 e 935 mila euro nel 2019 più un anticipo di 467 mila euro per il 2020, poi arriverà il conguaglio.
Solo il 15 maggio 2019 l’assemblea della Srl mette all’ordine del giorno il tema. All’assemblea quel giorno ci sono tre persone, tutte di Fratelli d’Italia: il presidente del consiglio di amministrazione Filippo Milone (membro della commissione di disciplina di FdI); l’amministratore delegato Antonio Giordano (vicesegretario amministrativo di FdI), e il deputato di FdI Tommaso Foti, che interviene come rappresentante dell’unico socio, la Fondazione Alleanza Nazionale.
“Non c’è continuità tra An e FdI”: ma carta canta…
Ovviamente sono tutti d’accordo anche perché la modifica allo Statuto mette le carte a posto, anche se in ritardo di un anno e mezzo. Il presidente della società, Filippo Milone, già sottosegretario alla difesa del governo Monti, ci dice: “Il Secolo d’Italia anche prima della modifica dello Statuto non era organo politico di AN perché quel partito non esisteva più. C’è la Fondazione che è una cosa diversa. Quindi Il Secolo è di una Fondazione e non c’è continuità tra An e Fratelli d’Italia, il primo partito non esiste più e il secondo esiste da pochi anni”.
La tesi di Milone però prova troppo: la scelta di An di confluire nel Pdl nel 2009 non ha impedito al Secolo di prendere i contributi in passato. Inoltre una certa continuità tra An e FdI ci deve essere se il 4 ottobre 2015 l’assemblea della Fondazione An ha approvato questa mozione: “Solo il movimento politico Fratelli d’Italia si richiama esplicitamente alla storia e ai valori della destra politica incarnata da Alleanza Nazionale”. Quel giorno la Fondazione concede l’uso del suo simbolo a FdI anche perché “ha esplicitamente condiviso l’eredità politica di quel partito e che attualmente FdI è l’unico partito presente con un Gruppo Parlamentare che si richiama nei valori e nella stessa denominazione ad Alleanza Nazionale”.
Certo, nella Fondazione AN ci sono esponenti che non fanno parte di FdI come il direttore editoriale del Secolo d’Italia, Italo Bocchino, o come Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, giornalista pensionato del Secolo, ma è innegabile che la componente dominante sia FdI.
La questione Secolo d’Italia riguarda quindi Giorgia Meloni due volte: come presidente di Fratelli d’Italia e come giornalista del Secolo d’Italia.
il ruolo di sorella Giorgia, l’ok del dip. Editoria
Assunta come redattrice nel 2004, Meloni dal 2006 – quando viene eletta deputata – è in aspettativa come prevede lo Statuto dei lavoratori. All’inizio versò i contributi per accedere alla doppia pensione, come è permesso ai giornalisti-parlamentari. Dal 2008 quando è diventata ministro del Pdl fino al novembre 2011, ha smesso rinunciando a un privilegio (vedi intervista) con una scelta non scontata.
Il Secolo contava sette giornalisti in aspettativa parlamentare nel 2012. Nel 2019 erano rimasti solo Gasparri e Meloni. Il senatore di FI è andato in pensione nel 2020 e – avendo pagato i suoi contributi – ha diritto alla doppia pensione da giornalista.
Anche Giorgia Meloni non si è mai dimessa dal Secolo e, pur rinunciando alla contribuzione figurativa per la pensione, in caso di mancata rielezione può contare su un lavoro in un giornale che si è retto in questi anni grazie soprattutto ai fondi della Fondazione AN e ai contributi pubblici. Da quando Giorgia Meloni è stata assunta, cioè dal 2004, Il Secolo d’Italia ha avuto 28,5 milioni di euro di quei contributi pubblici che Fratelli d’Italia è sempre stato in prima fila a difendere.
Il M5S ha provato ad abolirli, ma quando il taglio è stato spostato nel febbraio scorso di 48 mesi, sul Secolo Federico Mollicone, capogruppo in commissione Editoria di FdI, esultava: “È una bella pagina della storia parlamentare”. Poi il termine è stato spostato di altri 12 mesi a luglio scorso sempre grazie anche a FdI.
Abbiamo chiesto al Dipartimento Editoria perché Il Secolo abbia preso il contributo nel 2018 e 2019, anche dopo l’entrata in vigore della legge e prima della modifica dello Statuto. La risposta è questa: “Inizialmente avevamo inviato alla società un preavviso di un possibile diniego del contributo proprio perché – come da voi notato – per Statuto Il Secolo d’Italia era organo di movimento politico. Poi ci hanno prodotto alcuni documenti che ci hanno convinto. C’è una lettera del 22 dicembre 2017 del presidente della Fondazione An Giuseppe Valentino all’amministratore Antonio Giordano e al direttore editoriale Italo Bocchino nella quale chiede di evitare che Il Secolo d’Italia sia percepito come organo di partito o movimento politico. Poi c’è una comunicazione all’Agcom nella quale il quotidiano nel 2018 non si definiva più organo di partito. Infine c’è il verbale del Cda della Fondazione Alleanza Nazionale del 30 ottobre 2018 nel quale il presidente informava che Il Secolo si era allineato alle sue indicazioni e coerentemente era necessario adeguare lo Statuto. Cosa poi avvenuta a maggio 2019”.
Tanto basta al dipartimento Editoria per ritenere che Il Secolo d’Italia non sia più un organo di movimento politico già dal 2018.