Corriere della Sera, 31 agosto 2021
A Racalmuto, nelle stanze di Sciascia
I copriletto sono gli stessi di settant’anni fa. Li hanno riconosciuti le due figlie, Laura e Anna Maria. Più che letti, coprono brande. In mezzo, un unico comodino, contro cui le due bambine prendevano craniate pazzesche. Di là c’era la stanza dei genitori e lo studiolo dove il papà, Leonardo Sciascia, scriveva. La finestra non dà sul mare, che qui non c’è, e neppure sulla campagna, bensì sulla vecchia centrale elettrica. Ma il suo eterno ronzio non infastidiva lo scrittore, anzi gli dava ritmo, tempi, concentrazione.
Non c’è nulla di oleografico e pittoresco, qui a Racalmuto. Non è la Sicilia mediterranea e mitopoietica, creatrice di miti. Non ci sono commissari Montalbano e fantasmi dei Florio, che salvano il palinsesto di Rai Uno e scalano le classifiche della narrativa su Amazon. L’entroterra di Agrigento è tagliato fuori anche dal miracolo del turismo, che si dirige appunto verso il set di Montalbano, le valli barocche e le riserve naturali dell’angolo sud-orientale dell’isola, o che atterra a Palermo e in un attimo è già sulla spiaggia di San Vito Lo Capo. Ad Agrigento si passa per una foto al tempio della Concordia e alla Scala dei Turchi, resa famosa dal video di Gianna Nannini e dal film di Pif sullo sbarco degli americani, «In guerra per amore». A Racalmuto non ci viene nessuno. D’estate il clima è afoso, d’inverno freddo.
Entrare nella casa di Sciascia è commovente. Torna alla memoria quello che diceva un uomo della sua generazione, Giorgio Bocca, della propria casa di Cuneo, dove divideva due stanze con la madre, il padre, la nonna e la sorella ma non era «neppure sfiorato dall’idea di essere povero». Tutto, nella casa di Racalmuto, è misura, dignità, rigore. E il pensiero che in questi spazi piccoli, angusti, pieni di libri, siano nati alcuni tra i capolavori del Novecento, ti riempie gli occhi di lacrime di orgoglio, anche se Sciascia non l’hai mai conosciuto e sei nato al capo opposto della penisola.
Nelle due stanze al pianterreno lavorava lo zio sarto; e all’inizio il piccolo Leonardo si divertiva pure lui a tagliare stoffe. Poi per fortuna salì al piano di sopra, dove vivevano le tre zie, di cui una, Concettina, era maestra, e possedeva trecento libri: un’enormità, per quell’epoca, per questo minuscolo spazio. La zia fece incontrare a Leonardo una collega che insegnava come lei a Favara, Maria Andronico: si innamorarono, si sposarono, e vennero a vivere qui, prima al piano terra, poi dopo la nascita di Laura al piano di sopra.
Qui Sciascia, pure lui maestro elementare, scrisse i primi libri, «Le favole della dittatura» e una raccolta di osservazioni sui propri allievi, figli di minatori che non vedevano mai il sole. Voleva intitolarla «Cronache scolastiche», ma Vito Laterza obiettò che quello non era un titolo, e «Le parrocchie di Regalpetra» (eteronimo di Racalmuto inventato da Sciascia) sarebbe suonato in tutt’altro modo. Nello studiolo con vista sulla centrale elettrica concepì «Il giorno della civetta» e «A ciascuno il suo», da lì intratteneva la sua corrispondenza con Pasolini e Calvino, che gli scrisse: «Hai un polso morale che in questo Paese nessuno ha. Ma a fare conoscere Sciascia al pubblico furono due amici d’infanzia: Aldo Scimè, il fondatore in Sicilia della televisione – «u cinema a casa» —; e il primo cineoperatore Rai, Emanuele Cavallaro, detto Nenè (Leonardo lo chiamavano Nanà).
A Racalmuto venne, poco prima di essere assassinato, Paolo Borsellino. Portò un amico: Giovanni Falcone. Teneva a chiarire che «mai ci fu contrasto tra noi e Sciascia». Erano stati a pranzo insieme due volte, a Marsala e a Gibellina. Avevano dato un’intervista congiunta a Mauro Rostagno. Quando parlò dei professionisti dell’antimafia Sciascia non ce l’aveva con i magistrati, ma le sue parole – precisò Borsellino – furono strumentalizzati da chi, in Csm e in Cassazione, all’antimafia non credeva.
Ora il figlio di Nenè Cavallaro, Felice, l’inviato che da quarant’anni racconta la Sicilia ai lettori del Corriere, si è inventato «la strada degli scrittori», per legare la memoria di Nanà a quella dei suoi conterranei Pirandello, Russello, Tomasi di Lampedusa, Camilleri. La casa di Sciascia – salvata da un altro compaesano, Pippo De Falco – ora è in restauro. Inaugurazione il 10 settembre. Un piccolo intervento conservativo: l’intonaco, gli infissi. L’hanno finanziato i racalmutesi di Hamilton, Ontario, Canada. Il paese aveva 12 mila abitanti, ora ne ha 5 mila, ma ha disseminato figli nel mondo. I canadesi hanno raccolto un po’ di dollari, e li hanno voluti dare al borgo natale, alla casa del loro scrittore. La centrale elettrica non ronza più, è diventata la sede della Fondazione Sciascia.