Corriere della Sera, 31 agosto 2021
Le vite da esuli degli ex membri dei governi afghani
Fino allo scorso settembre, Sayed Sadaat vestiva in giacca e cravatta, aveva un lavoro e uno stipendio di tutto rispetto, pur vivendo in uno dei Paesi più poveri del mondo, e non poteva certo lamentarsi della sua vita. Oggi l’ex ministro delle Comunicazioni afghano vive a Lipsia e fa il rider, consegnando panini e pizze in giro per la città. A convincerlo, un anno fa, a lasciare il suo lavoro e a riparare in Germania, gli accordi di Doha che sanciscono il ritiro delle forze internazionali dal Paese. Quando Sadaat, 39 anni, capisce che la fine del suo governo è alle porte, prende la decisione. Impacchetta tutto, prende moglie e figli e chiede il visto. Poi, una volta arrivato in Germania, si mette alla ricerca di un lavoro. La lingua e la mancanza di conoscenze lo costringono a ripiegare su un impiego decisamente più umile rispetto a quello che aveva in patria. E così finisce a fare le consegne. In un primo momento tutti lo criticano per la sua scelta. «Mi davano del pazzo», racconta oggi alla Reuters, appoggiato alla sua bicicletta. «Ma non ho decisamente nulla da rimproverarmi. Anzi, spero che anche altri politici afghani seguano il mio esempio e, invece di scappare, si trovino un lavoro all’estero».
E se è difficile essere fiduciosi considerato che l’ex presidente Ashraf Ghani è fuggito all’improvviso a bordo di un elicottero carico di banconote, dopo aver consegnato il Paese ai talebani, a fronte di chi ha fatto i bagagli in fretta e furia dopo la caduta del 15 agosto e se l’è svignata in sordina a bordo di qualche volo di evacuazione, c’è chi ha deciso di restare e combattere.
È l’ex ministro dell’Interno Masoud Andarabi. Licenziato a marzo da Ghani, oggi può parlare e accusa l’ex presidente di non aver fatto nulla per salvare il Paese. Sui social e in numerose interviste denuncia i misfatti dei talebani e non risparmia critiche al suo ex capo. «Ghani governava senza consultare i membri del suo gabinetto di sicurezza. È questo processo decisionale ad averci portato nella situazione in cui siamo», spiega al Corriere. A scappare – ma per una ragione decisamente comprensibile – è stata Nargis Nehan, ex ministro del governo afghano e attivista per i diritti delle donne, che è riuscita a riparare a Oslo lasciandosi però alle spalle il padre malato e la sorella. «Non è la prima volta che lascio il mio Paese», ha raccontato in un’intervista a Channel 4. «Durante la guerra civile del 1992-1996 sono stata una dei milioni di rifugiati afghani sfollati in Pakistan». Da qui Nargis ha iniziato a lavorare per i diritti delle donne, con ong e associazioni. Dopo il 1996, tornata in Afghanistan, per conto di una ong svedese ha lavorato con l‘Onu per la parità di genere, fino ad arrivare al palazzo di governo. «Ma ora», scuote la testa sconsolata, «devo ricominciare tutto da capo».
Continua ad andare in ufficio ogni giorno invece Hazrat Omar Zakhilwal, ex ministro delle Finanze del governo Karzai che ora, tornato nel Paese dall’estero in assoluta controtendenza, cerca di dialogare con i talebani per un governo «più inclusivo». E durante un’intervista alla tv cinese ha affermato di avere fiducia «nella saggezza collettiva di questo Paese» e di sperare che il suo ritorno «possa rassicurare i suoi compagni a prendere posizione affinché l’Afghanistan possa essere stabile e pacifico».