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 2021  agosto 31 Martedì calendario

Valeria Rossi oggi lavora nell’ufficio anagrafe

A guardarla oggi è facile dire che fu l’ultima estate di un’era. Il mondo, dopo quell’estate, cambiò in maniera radicale, ma nessuno davvero ne aveva la percezione in quei caldi mesi del 2001. Era l’ultima estate con la lira in tasca, quella del G8 di Genova, e a settembre il crollo delle Torri Gemelle avrebbe portato via con sé anche molti sogni e speranze.
Eravamo talmente ignari che da giugno cantavamo una canzone che all’improvviso era arrivata in classifica, recitando un mantra imbattibile, fatto di soleTre parole , come diceva il titolo: “sole, cuore, amore”. A farcela cantare era stata Valeria Rossi, che con disarmante semplicità aveva messo in fila le rime più ovvie della canzone italiana e le aveva trasformate in un tormentone al quale era impossibile sfuggire. Fu la seconda canzone più venduta dell’anno, dietro a Can’t get you out of my head di Kylie Minogue, vendette oltre centomila copie, le fece vincere il Festivalbar tra le nuove proposte e proiettò Valeria Rossi in un universo per lei completamente nuovo.
«Non ne sapevo nulla di televisione, di radio, di promozione, non avevo idea di cosa fossero i “bagni di folla”», ricorda lei. «Ero un’autrice, non una performer, non avevo alcuna esperienza di show business, era tutto nuovo per me. Ero contenta all’inizio, molto sorpresa ma anche molto divertita da quello che stava accadendo».
Solo all’inizio?
«Sì, perché capii abbastanza presto che tutto stava prendendo dimensioni anomale e se non stavo attenta avrei perso il controllo su me stessa e sulla mia vita.
Tutto durò due anni, piuttosto rocamboleschi dal punto di vista professionale».
Che estate fu quella del 2001?
«Per me fu un’estate fuori dall’ordinario. Successe tutto insieme, il disco era uscito in primavera ed esplose letteralmente all’improvviso. Quindi fu un’estate in immersione, nel senso che ero metaforicamente sott’acqua, totalmente travolta da cose arrivate all’improvviso che cambiavano lo scenario della mia vita. Avevo la testa sotto la superficie, era difficile guardare su».
Riuscì a non perdere la testa.
«Credo mi abbia ancorato a terra il fatto di essere psicologicamente sempre un po’ fuori dal vortice, come nell’occhio del ciclone in cui tutto è calmo.
Ero una sorta di osservatore, un po’ distante dalle cose, e questo mi ha salvata».
“Tre parole”, comunque, parlava a tutti, piaceva dai bambini ai nonni.
«Una delle spiegazioni è che nella canzone c’è un mix di elementi, un elenco di immagini che è simile al linguaggio dell’anima, per cui ha bypassato la mente razionale ed è andata diretta nella sfera delle emozioni. In realtà è un testo taoista: io ho fatto la stessa scuola che ha fatto Battiato, che ha abbinato l’ascesi alla materia. Nel testo di Tre parole in realtà c’è tutto».
Fotografava l’ultimo grande momento dell’Italia prima del lungo buio degli anni Duemila?
«Al di là di un primo livello di lettura, in realtà, la canzone conteneva una specie di mappa del nostro territorio interiore, un invito ad andare in una determinata direzione al posto di un’altra. L’estate del 2001 è stata un grande bivio, Si è passati dall’inconsapevolezza spensierata alla paura e le tre parole sono rimaste cristallizzate, come una dimensione di paradiso perduto, inaccessibile e, quindi, sempre desiderabile. Oppure, sì, come una foto di un momento particolarmente felice che ci fa sorridere il cuore».
Dopo ha cambiato vita.
«Ho ripreso i libri della prima laurea, in diritto, ho fatto un concorso e sono stata assunta come ufficiale dello stato civile, redigo gli atti che afferiscono ai mutamenti di status delle persone. Ogni giorno ho a che fare con le vite delle persone, avevo voglia di andare nella pratica, nel concreto. E ora sto facendo una formazione specifica, in counseling a mediazione corporea».